Corte di Cassazione: nulli i contratti sui derivati se non approvati dal Consiglio Comunale. La situazione a Verona

 
 

La Corte di Cassazione ritorna ad occuparsi di “derivati”, affermando, nella Sentenza 8770/2020 depositata il 12 maggio, che l’autorizzazione alla conclusione di un contratto di “interest rate swap” da parte dei Comuni italiani deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale. I contratti derivati finanziari accesi, nel passato, dal Comune di Verona con le banche hanno “bruciato”, alla data del 31 dicembre 2019 (rendiconto in fase di approvazione, ndr), 49milioni di euro (49.254.060,94). E non è finita.

Iniziamo col dire che cosa sono i “derivati”. Il titolo derivato è un contratto tra due parti – in questo caso gli enti pubblici e le banche – che a scadenze prefissate si scambiano flussi di cassa. A determinare questi ultimi è l’andamento di alcuni indicatori prestabiliti, tipicamente tassi di interesse e o tassi di cambio. Tradotto: è una vera e propria scommessa periodica in cui qualcuno vince e qualcun altro perde. E come leggerete in seguito il vincitore è sempre la banca.

Tutto nasce dalla Sentenza della Corte d’appello di Bologna secondo la quale il contratto derivato (interest rate swap) stipulato dalle banche con i Comuni è nullo e inefficace in quanto non è stato reso noto, sin dall’origine, il loro valore attuale, lasciando in capo all’ente locale un alea non ammissibile” Sono pertanto da considerarsi a rischio i contratti stipulati le operazioni sui derivati stipulati della banche con i Comuni, con possibile rilevante risarcimento dei danni, pari alle differenze negative poste sino a oggi a carico degli enti

La questione è così finita davanti alla Corte di Cassazione che con la Sentenza n. 493/2019 ha rimesso la decisione alle Sezioni Unite per due ragioni. La prima per evitare che, in considerazione dell’oscillazione della giurisprudenza in materia, una eventuale pronuncia in senso confermativo o negativo potesse indicare un indirizzo per tute le altre cause pendenti, in considerazione dell’assoluto rilievo per gli interessi degli enti locali e degli intermediari bancari e finanziari. La seconda è per verificare se questa operazione finanziaria generi o meno un indebitamento per finanziare spese diverse da quelle di investimento ovvero se la competenza della decisione debba essere rimessa al Consiglio comunale quale spesa a carattere pluriennale (ex art. 42, c.2, lett. i) del D.Lgs. n. 267/2000) e non atto di gestione dell’indebitamento dell’ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, legittimamente adottabile dalla giunta comunale in virtù della sua competenza gestoria (ex art. 48, c.2, del TUEL).

Il 12 maggio 2020 le Sezioni unite civili della Corte di Cassazione, hanno depositato  la Sentenza 8770/2020 depositata il 12 maggio, e decidendo sulla questione questione di massima, hanno affermato che «l’autorizzazione alla conclusione di un contratto di swap da parte dei Comuni italiani, specie se del tipo con finanziamento ‘upfront’, ma anche in tutti quei casi in cui la sua negoziazione si traduce comunque nell’estinzione dei precedenti rapporti di mutuo sottostanti ovvero anche nel loro mantenimento in vita, ma con rilevanti modificazioni, deve essere data, a pena di nullità, dal Consiglio comunale, non potendosi assimilare ad un semplice atto di gestione dell’indebitamento dell’ente locale con finalità di riduzione degli oneri finanziari ad esso inerenti, adottabile dalla giunta comunale.»

La Sentenza delle Sezione unite civili pertanto conferma la decisione della Corte d’appello di Bologna che nel 2014 aveva disposto la ripetizione degli importi corrisposti dalla banca al Comune fino al 2010 (oltre 500mila euro) e soprattutto dal Comune alla banca (oltre 1 milione di euro).

Inoltre i giudici delle Sezioni unite civili hanno asserito il seguente principio di diritto: «Il riconoscimento della legittimazione dell’Amministrazione a concludere contratti derivati, sulla base della disciplina vigente sino al 2013 (la L. 147/2013 ne ha escluso la possibilità) e della distinzione tra i derivati di copertura e i derivati speculativi, in base al criterio del diverso grado di rischiosità di ciascuno di essi, comportava che solamente nel primo caso l’ente locale potesse dirsi legittimato a procedere allo loro stipula; nondimeno, tale stipula poteva utilmente ed efficacemente avvenire solo in presenza di una precisa misurabilità/determinazione dell’oggetto contrattuale, comprensiva sia del criterio del ‘mark to market’, sia degli scenari probabilistici, sia dei cd. costi occulti, allo scopo di ridurre al minimo e di rendere consapevole l’ente di ogni aspetto di aleatorietà del rapporto, costituente una rilevante disarmonia nell’ambito delle regole relative alla contabilità pubblica, introduttiva di variabili non compatibili con la certezza degli impegni di spesa riportati in bilancio.»

Segno dell’attenzione sull’argomento “derivati” (anche causa delle denunce) la Cassazione è ritornata sulla questione a Sezioni Unite con una Sentenza (n. 9680/2019) che non farà dormire sogni tranquilli a funzionari ed amministratori locali. I giudici infatti hanno confermato la condanna per danno erariale del funzionario responsabile dell’area “Amministrativo Finanziaria” e dell’allora Sindaco di un piccolo comune in provincia di Terni i quali devono risarcire il danno personalmente. Nel caso di specie, la Corte dei Conti ha ritenuto che il funzionario e gli amministratori avessero concluso il relativo contratto senza avere esperienza sulle operazioni derivate e senza avvalersi di una preventiva consulenza sul contenuto del contatto. In sede di verifica è emerso che il contratto risultava sbilanciato a favore dell’istituto a causa dei “costi impliciti” non valutati (?) dal Comune al momento della sottoscrizione. Ed è questa la somma a cui il funzionario, per la metà, e gli amministratori (tra cui il Sindaco), per l’altra metà, sono stati condannati a risarcire il Comune.

La questione di fondo è (abbastanza) chiara: comuni, province e regioni, o perché bisognosi di racimolare fondi a fronte dei tagli ai bilanci sempre più consistenti, o per difendersi dai rischi di aumento dei tassi di interesse sui soldi presi in prestito – tramite mutui o emissioni di titoli obbligazionari – hanno deciso (da leggere con attenzione le delibere e determine), in quest’epoca di finanza creativa e su suggerimento dei grandi istituti di credito (Unicredit, Merrill Lynch, Deutsche Bank, UBS e altre ancora), di ricorrere a strumenti finanziari complessi.

L’esposizione degli enti pubblici italiani sui titoli derivati è in calo da tempo. Ma le perdite potenziali superano di gran lunga i possibili guadagni con un saldo negativo espresso in termini di miliardi di euro come si può leggere dall’ultima indagine della Banca d’Italia sul debito delle Amministrazioni locali (tav. 33, pag. 17) relativa ai dati rilevati a dicembre 2019.

Alla fine del 2019, il valore nozionale dei derivati detenuto da comuni, province e regioni ammontava a 5,539 miliardi di euro, erano 9,311 miliardi alla fine del 2014. Gli enti locali, in altre parole, si stanno progressivamente liberando degli strumenti finanziari più complessi utilizzati in passato per arricchire (legalmente) i propri bilanci e ridurre il peso dei debiti.

A partire dal dicembre del 2008, la Banca d’Italia ha preso in considerazione il fair value, ovvero il valore di mercato contingente del titolo stesso. In sintesi significa che ad essere calcolato non è il valore nominale del derivato ma il suo prezzo di mercato alle condizioni attuali. Ebbene, secondo la Banca d’Italia, i derivati in mano agli enti pubblici alla fine dello scorso anno evidenziavano un valore negativo di 1.048 milioni di euro.

Semplificando: se regioni, province e comuni chiudessero i loro contratti derivati dovrebbero pagare alle banche quasi 1,048 milliardi. Mentre i contratti con valore positivo ammontano, leggendo, l’ultima rilevazione (anno 2019), a 137 milioni di euro, poco più di un decimo del totale. In sintesi: sulle operazioni in derivati sottoscritte con le amministrazioni pubbliche le banche ci guadagnano 9 volte su 10. Trattasi di mera  fortuna per le banche?

L’impietoso intervento della Corte dei Conti nel maggio 2015, sulla gestione dei derivati da parte degli enti locali, ci consegna una relazione che parla di: “violazioni normative e notevoli squilibri contrattuali in danno agli enti per la mancata valutazione della convenienza economica dei contratti”; “errata contabilizzazione dei flussi derivanti dai contratti di finanza derivata”. 

A questo punto immagino che vi starete chiedendo: “qual’è la situazione dei derivati finanziari del Comune di Verona?”. Presto detto.

In conformità ai principi della contabilità finanziaria, secondo la quale nel Rendiconto vengono iscritti i debiti e i crediti sorti nell’esercizio di riferimento, i flussi finanziari relativi ai differenziali dei singoli swap di tasso sono stati accertati tra le entrate del Titolo III se positivi, o impegnati nel Titolo I se negativi. Nello specifico, dopo aver analizzato tutti i Rendiconti del Comune di Verona fino al 31 dicembre 2019 (in fase di approvazione, ndr), i differenziali, incassati o impegnati relativi ai contratti di swap in essere sono stati così contabilizzati:

  • Titolo III (positivi):   + 14.270.883,00
  • Titolo I    (negativi):   – 63.524.944,00

Insomma le operazione di derivati finanziari accesi dal Comune di Verona (amministrazioni ante Sboarina) con le banche hanno “bruciato”, alla data del 31 dicembre 2019 (rendiconto in fase di approvazione, ndr), 49.254.060,00 euro. Finora. Si consideri peraltro che nel 2013 si è concluso naturalmente il contratto con Deutsche Bank mentre quello con Unicredit solo a seguito di un accordo transattivo (sarebbe scaduto nel 2026). Ad oggi permangono due contratti con Merril Lynch (swap di ammortamento e swap di interesse) entrambi scadenti nel 2026 con un valore nozionale di 470.600.00,00 euro mentre il correlato valore di mercato (“mark to market”) ammonta a 133.861.255,00 euro. Una perdita di 336.738.745,00.

Insomma le decisioni del passato presentano, come la nemesi ci insegna, ancora il conto.

Resta da verificare, volendolo, da chiunque abbia titolo, la responsabilità delle operazioni di contratti derivati sottoscritti dal Comune di Verona da parte dei funzionari, dirigenti e amministratori comunali.

Soprattutto è stato verificato se il Consiglio comunale ha autorizzato la sottoscrizione dei contratti di swap?

Alberto Speciale

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Ne avevamo già parlato in due precedenti articoli:

 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

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