Post su Fb contro il Sindaco: “Che schifo di persona!”. Condannato per diffamazione dalla Cassazione

 
 

Critica al sindaco di Montemaggiore al Metauro a mezzo social Facebook: «Che schifo di persona! Mi viene da vomitare». Interviene la Cassazione: “La critica non deve trascendere in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui”. Condannato per diffamazione aggravata


La campagna elettorale, si sa, non finisce mai, anche ad elezioni terminate e risultato acquisito. Fino a che punto si può spingere la critica di un cittadino nei confronti di un Sindaco, specialmente se espressa a mezzo social senza incorrere nei reati di calunnia o diffamazione (l’ingiuria è stata depenalizzata nel 2016)?

A fare chiarezza è intervenuta la Corte di Cassazione (sez. V penale), che, con la recente Sentenza n. 29621/2023 (dep. 10 luglio 2023) ha affermato che “la critica non deve trascendere in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui”.

Con tale presupposto per la Corte di cassazione l’espressione «Che schifo di persona! Mi viene da vomitare» scritta dall’imputato in un post su Facebook riferito al Sindaco del comune di Montemaggiore al Metauro (PU), non rispetta preliminarmente il limite della continenza sia perché costituiscono un’offesa alla persona e non al suo operato amministrativo di primo cittadino, sia perché formulate con l’utilizzo di termini apertamente dispregiativi e volgari.

Per la Cassazione il tema su cui interrogarsi, nell’ambito del propugnato esercizio del diritto di critica, è quello della continenza. In tal senso il Collegio rammenta che, secondo un approccio ermeneutico consolidato della Corte, “si deve tenere conto del complessivo contesto dialettico in cui si realizza la condotta e verificare se i toni utilizzati dall’agente, pur se aspri, forti e sferzanti, non siano meramente gratuiti e immotivatamente aggressivi dell’altrui reputazione, ma siano, invece, pertinenti al tema in discussione e proporzionati al fatto narrato ed al concetto da esprimere”.

Poiché la persona offesa è un esponente politico e il motivo della riprovazione manifestata dall’imputato è legato alla sua attività quale pubblico amministratore, va altresì ricordato come la configurabilità dell’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica, che trova fondamento nell’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e nel controllo democratico nei confronti degli esponenti politici o pubblici amministratori, richiede comunque che l’elaborazione critica non trascenda in attacchi personali finalizzati ad aggredire la sfera morale altrui.

Secondo la Sez. V, Sentenza n. 46132/2014, sussiste l’esimente dell’esercizio del diritto di critica politica qualora l’espressione usata consista in un dissenso motivato, anche estremo, rispetto alle idee ed ai comportamenti altrui, nel cui ambito possono trovare spazio anche valutazioni non obiettive, purché non trasmodi in un attacco personale lesivo della dignità morale ed intellettuale dell’avversario. In linea con questi precedenti si pone anche Sez. V, n. 4938/2010, secondo cui “il limite all’esercizio del diritto di critica è, essenzialmente quello del rispetto della dignità altrui, non potendo lo stesso costituire mera occasione per gratuiti attacchi alla persona ed arbitrarie aggressioni al suo patrimonio morale, anche mediante l’utilizzo di argumenta ad hominem”.

Interessante è anche Sez. V, Sentenza n. 32577/2007, che ha ritenuto integrato il delitto di diffamazione nella diffusione di un manifesto-volantino nel quale si definiva il Sindaco di un Comune come “gaglioffo” e “azzeccagarbugli”, non potendosi tali attributi giustificare con il legittimo esercizio del diritto di critica politica, perché non necessari né collegati al dissenso sull’operato e sulla personalità pubblica dell’offeso, ma concernenti la sua sfera professionale e personale, denigrandone la moralità e la capacità.

Egualmente si è ritenuto (Sez. V, Sentenza n. 4991/2006) che la continenza fosse superata allorché, nel corso di un comizio elettorale, si era assimilato l’avversario politico a “Giuda Iscariota” e lo si era accusato di essersi venduto per “trenta denari”, posto che tale accostamento aveva comportato l’attribuzione di caratteristiche infamanti.

Per i giudici della cassazione l’espressione «Che schifo di persona! Mi viene da vomitare», utilizzata dall’imputato in riferimento al Sindaco, costituisce un argumentum ad hominem, che non rispetta il limite della continenza, sia perché costituisce un’offesa alla persona e non al suo operato politico, sia perché è formulata con l’utilizzo di termini apertamente dispregiativi e volgari. La Corte non scorge, infatti, alcuna funzionalità dell’asserito rispetto alla manifestazione di un’opinione sull’operato politico della persona offesa, quanto una contumelia tesa a far confluire sulla persona e non già sul politico, il pubblico disprezzo dei lettori del post. L’espressione, infatti, non è inserita in un commento più ampio né accompagnata da ulteriori espressioni che possano inquadrare il senso di quanto affermato.

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di Euro 3.000,00, mentre resta aperta l’eventuale richiesta di risarcibilità per danno d’immagine innanzi al Tribunale civile.

     La stessa espressione è stata sritta, sempre su Fb, nei confronti del sindaco Tommasi qualche giorno fa. Ma ne son quasi certo che andando a rivedere le critiche espresse nei confronti dei preedenti Sindai probabilmente la troveremo ugualmente.

Alberto Speciale

 

 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

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