Pensioni povere, deriva del welfare e della sanità

 
 

I dati Inps aggiornati al 1° gennaio 2024 evidenziano che le pensioni veronesi del settore privato erogate dall’Istituto sono cresciute di numero (+0,5%) e di importo (+8,1%) passando dalle 263.602 del 2023 per un importo medio di 1.086,85 euro, alle attuali 264.933 per un importo medio di 1.175,53 euro. Merito del sistema di perequazione contrattato dalle organizzazioni sindacali che ha consentito almeno un parziale recupero dell’inflazione. 

 

Si tratta tuttavia di assegni mediamente ancora molto bassi, che non riescono ad assorbire l’impennata del costo della vita e sono insufficienti ad affrontare l’attacco in corso al welfare con il taglio di numerosi fondi a sostegno dei più deboli (disabili, non autosufficienti, affittuari ecc…) e l’involuzione del sistema sanitario nazionale che, come evidenzia l’ultima ricerca del Censis, esclude il 42% della popolazione a basso reddito che non può permettersi di sostituire i servizi della sanità pubblica (resi di fatto inaccessibili da liste di attesa infinite) con i servizi della sanità privata.

 

Tra i pensionati veronesi troviamo ancora forti diseguaglianze di genere, con gli uomini che presentano assegni pensionistici mediamente quasi doppi rispetto a quelli delle donne (1.569,02 euro contro 850,18 euro) e ampie sacche di pensioni poverissime.

 

In particolare, rischia di diventare drammatica la condizione dei pensionati e delle pensionate integrati al minimo “vitale”. Nel veronese gli assegni di questo tipo sono 31.912, per la stragrande maggioranza pagati a donne (28.338) per un importo medio di 567,48 euro. L’integrazione al minimo è una prestazione riconosciuta ai percettori di pensione previdenziale (derivante cioè da lavoro, quindi pensione di vecchiaia o di invalidità o di tipo superstite) che presentino un reddito individuale complessivo non superiore al minimo “vitale” individuato di anno in anno dall’Inps (nel 2024 corrisponde a 7.781,91 euro annui, pari a 598,60 euro al mese) o, se coniugati, un redditto coniugale al di sotto di certe soglie fissate. Dai dati emerge che più di un quarto (il 26.7%) delle pensioni di vecchiaia femminili (19.796 su 74.160) sono integrate al minimo. Si tratta comunque di un beneficio destinato a scemare dal momento che non si applica al nuovo metodo contributivo di calcolo delle pensioni diventato predominante a seguito delle varie riforme pensionistiche.

 

Esistono poi 9.543 pensioni, di natura previdenziale e assistenziale, che pur non essendo integrate al minimo, a determinate condizioni di età e reddito godono di alcune maggiorazioni sociali in ragione del loro importo molto basso. Un esempio è rappresentato dall’integrazione “al milione di lire” introdotto nel 2001 dal governo Berlusconi di cui hanno beneficiato soprattutto i percettori di assegno sociale e di pensione di invalidità. L’importo medio di queste pensioni è attualmente di 686,64 euro.

 

Tra le pensioni bassissime esiste, infine, il mare magnum delle prestazioni assistenziali, chiamate così perché a differenza delle prestazioni previdenziali non sono erogate a fronte di contributi previdenziali ma in ragione di una condizione di invalidità civile (parziale o totale) oppure di indigenza (pensioni sociali). Tra pensioni sociali e indennità di accompagnamento, a Verona vengono erogate ogni mese 37.995 prestazioni di tipo assistenziale di importo pressoché fisso e uguale per tutti che oscilla attorno ai 500 euro.

 

In definitiva, più di un quarto delle pensioni erogate ogni mese nel veronese (circa 75 mila su 264.933) sono pensioni povere, anzi, poverissime, con importi compresi tra i 500 e i 690 euro mensili. Questo aiuta a capire come mai il 64,9% delle pensioni veronesi (172.010 su 264.933) non arrivi ai mille euro netti mensili. Il fenomeno del cumulo delle pensioni può contribuire, in alcuni casi particolari, a mitigare una situazione tanto delicata quanto diffusa, ma il maggiore aiuto proviene dalle reti famigliari (la presenza di un percettore di reddito forte) e dai servizi pubblici. 

 

“La condizione sociale di difficoltà di tanti pensionati e pensionate veronesi che leggiamo in questi dati ci deve portare a riflettere attentamente sull’allarme recentemente lanciato dal Censis a proposito della deriva del servizio sanitario nazionale a cui si accede ormai per censo e non per diritto o per bisogno” commenta il Segretario Generale Spi Cgil Adriano Filice. “Le liste di attesa vergognosamente lunghe nel pubblico portano infatti a rivolgersi al privato al prezzo però di enormi sacrifici soprattutto tra i redditi più bassi che nella metà dei casi devono sacrificare altre spese per curarsi e nel 42% dei casi deve posticipare o rinunciare del tutto. Da fenomeno ‘strisciante’, la privatizzazione del servizio sanitario è diventata oggi una palese e drammatica realtà” prosegue. 

“I pensionati e le pensionate sono, tra le categorie dei fragili, le persone più esposte e che subiscono le più gravi conseguenze di questa involuzione che riguarda sia la sanità che il welfare, prodotto di scelte ben precise e ripetute nel tempo” continua. 

“Per questo come Spi Cgil diciamo che è necessario un deciso cambio di rotta, come invocato ormai da numerosi appelli di scienziati e premi Nobel, che rimetta al centro la persona e i suoi bisogni a cominciare dal diritto ad una pensione dignitosa; ad un sistema di protezione sociale che sia, come scritto Costituzione, un diritto universale e non una gentile e temporanea concessione; ad una salute che non sia a pagamento; ad un invecchiamento che renda le anziane e gli anziani parte realmente attiva della società e non prodotto di scarto” conclude Filice.

 
 

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