Antenne telefonia: per IFEL se installate su suolo disponibile sono soggette a canoni liberi non al CUP

 
 

IFEL, intervenendo con una nota di chiarimento del 12 dicembre 202, fornisce interessanti chiarimenti in merito al regime patrimonilae da applicare per le antenne di telefonia mobile installate su suoli comunali iscritti nel patrimonio disponibile dell’ente. Per queste si renderebbe applicabile il canone di locazione convenzionalmente contrattato e non il canone unico patrimoniale (CUP) del valore di 800 euro


l’IFEL (Istituto per la Finanza e l’Economia Locale) interviene ricordando che la modifica, in sede di conversione del D.L. 77/2021, della disciplina del canone unico patrimoniale (CUP), applicabile alle infrastrutture di telecomunicazione ubicate su aree comunali, operata attraverso l’introduzione del comma 831-bis, non ha eliminato, ma al contrario acuito, le incertezze interpretative già sorte nel previgente regime TOSAP. Inoltre sta generando importanti perdite di gettito per i Comuni interessati, che a tutt’oggi non appaiono adeguatamente considerate dal Legislatore e dal Governo.

La questione circa l’assoggettabilità di tali impianti al CUP assume attualmente rinnovato e maggiore interesse per il combinato disposto della novella recata dal legislatore con la Legge 108/2021 di conversione del D.L. 77/2021 – che assoggetta al canone di 800 euro ogni impianto di comunicazione elettronica insistente nel territorio di ciascun Comune – e dell’attivismo dei gestori di detti impianti che, interpretando a loro esclusivo favore la nuova disposizione, hanno avviato massicce iniziative di “sollecito” ai Comuni volte a rinegoziare/modificare/estinguere anche gli assetti contrattuali non ancora scaduti.

In particolare, un’indagine condotta dall’IFEL, presso alcune decine di città medio grandi, ha rilevato che, pur nella notevole diversificazione dei regimi contrattuali e di prelievo, l’applicazione del canone forfettario di 800 euro, ha ridotto del 90% il valore medio del gettito ritraibile da un singolo impianto.

Al fine di valutare correttamente le proposte presentate dagli operatori, occorre
richiamare quanto stabilito dall’art.1, co. 819, della Legge n.160/2019, che individua il presupposto impositivo del CUP nell’ “l’occupazione, …, delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile degli enti e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico”. Pertanto, la nuova disciplina non incide sul patrimonio disponibile dei Comuni, per il quale tradizionalmente trova applicazione la disciplina di diritto privato, come già affermato in alcune sentenze in passato con riguardo alla TOSAP.

A dcontrastare quanto la normativa pacificamente afferma, alcuni gestori argomentano di
non dover versare – ed in taluni casi di fatto non corrispondono – i canoni pattuiti per la
locazione di aree rientranti nel patrimonio disponibile, ove insistono gli impianti di
telecomunicazioni, motivando tale scelta sulla base del carattere di “servizio pubblico” che assumerebbero, sempre nelle argomentazioni degli operatori, detti impianti.

Nella nota, tuttavia, IFEL evidenzia come il preteso automatismo, peraltro collegato alla supposta natura di pubblico servizio degli impianti di telecomunicazione, non appare coerente né con il quadro normativo vigente, né con la giurisprudenza consolidatasi in materia, secondo la quale, affinché un’area rientrante nel patrimonio disponibile assuma carattere pubblico di bene patrimoniale indisponibile è necessario soddisfare un doppio requisito soggettivo-oggettivo” (cfr. Cassazione civile, Sezioni unite, Ordinanza n. 13664/2019 e Sentenza 4430/2014).

In particolare, nell’ordinanza 13664, le Sezioni Unite ribadiscono che “affinché un bene non appartenente al demanio necessario possa rivestire il carattere pubblico proprio dei beni patrimoniali indisponibili, in quanto destinati a un pubblico servizio ai sensi dell’art. 826 c.c., comma 3, deve sussistere il doppio requisito (soggettivo e oggettivo)” che consiste nella manifestazione di volontà dell’ente titolare del diritto reale pubblico (e, perciò, un atto amministrativo da cui risulti la specifica volontà dell’ente di destinare quel determinato bene a un pubblico servizio) e l‘effettiva e attuale destinazione del bene al pubblico servizio.

Pertanto in difetto di tali condizioni, prosegue l’ordinanza, “la cessione in godimento del bene medesimo in favore di privati non può essere ricondotta a un rapporto di
concessione amministrativa, ma, inerendo a un bene facente parte del patrimonio
disponibile, al di là del nomen iuris che le parti contraenti hanno inteso dare al
rapporto, essa viene a inquadrarsi nello schema privatistico della locazione”.

Le argomentazioni dei giudici cassazionisti hanno trovato conferma della giurisprudenza, infatti sul punto il Tribunale di Treviso, pronunciandosi con la sentenza 240 del 2021 (confermata dalla Corte di appello di Venezia con sent. 2311/2022), ha confermato l’obbligo per le società di continuare a pagare il canone di locazione convenzionalmente pattuito e non il CUP. Le sentenze hanno negato che l’installazione di impianti di comunicazione elettronica integri il requisito oggettivo dell’effettiva destinazione ad uso pubblico sostenendo che “le attività di interesse generale, [come qualificate dal codice delle comunicazioni elettroniche] non possano ritenersi equipollenti ad un servizio pubblico in quanto, per il loro utilizzo, i consumatori pagano le tariffe non calmierate, ma soggette alla concorrenza del mercato, a società con scopo di lucro”.

Inoltre, per conservare il carattere di bene indisponibile il Tribunale di Treviso ha ritenuto che “il bene deve essere destinato a servizi di competenza dell’ente locale territoriale tra i quali – per i comuni – non rientra certo il servizio di telecomunicazioni, fisse e mobili”. In pratica il bene appartiene al patrimonio indisponibile del Comune se con esso il Comune esercita un servizio pubblico di propria spettanza.

Inoltre, alle argomentazioni opposte dal Tribunale di Treviso, se ne aggiungono altre che provengono dall’evidenza per cui spesso le società che hanno in godimento le aree comunali in questione non esercitano direttamente attività di telecomunicazione, ma si limitano a noleggiare gli impianti a società terze che effettuano attività di telecomunicazione.
In quest’ultima ipotesi, ciò che verrebbe in rilievo, quindi, non sarebbe l’attività di telecomunicazione, che è svolta da un soggetto diverso da quello che ha in godimento l’area comunale, bensì l’attività di locazione di impianti, sia pure destinati ad attività di telecomunicazione, che non appare idonea ad integrare in maniera diretta il requisito oggettivo della destinazione a pubblico servizio dell’area in questione.

In definitiva, ove si tratti di patrimonio disponibile, la nuova disciplina (come la
vecchia TOSAP) non può in alcun modo incidere nei contratti di diritto privato
(rectius locazioni) stipulati con il Comune, che mantengono forza di legge tra le parti e non possono essere sciolti se non per mutuo consenso ai sensi dell’art. 1372 del c.c..

Anche con riferimento alle antenne che insistono sui beni demaniali o indisponibili, IFEL ricorda che l’articolo 54 del D.Ls. 259/2003, ai sensi del quale “Le Pubbliche Amministrazioni, (…), i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni ulteriori rispetto al CUP (…)”, si rende applicabile solo per i rapporti sorti successivamente alla modifica normativa. IFEL richiama, sul punto, la Sentenza del Consiglio di Stato n. 3467/2020, nella quale è stato chiarito che la ratio di tale previsione è quello di porre un “limite al potere impositivo unilaterale degli enti territoriali”, mentre non incide in alcun modo “su canoni pattuiti convenzionalmente nell’ambito di concessioni-contratto aventi ad oggetto beni demaniali o patrimoniali indisponibili”, che devono pertanto continuare a ritenersi dovuti.

Pertanto, conclude IFEL, devono pertanto ritenersi non fondate le richieste
degli operatori di non corrispondere i canoni ulteriori pattuiti nell’ambito di
concessioni-contratto stipulate prima del 13 febbraio 2019 (data di entrata in viore della nuova disposizione), i cui effetti non siano esauriti. Per converso, a far data da tale termine, appare esclusa per i Comuni la possibilità di prevedere, nell’ambito delle occupazioni di beni demaniali o del patrimonio indisponibile, qualunque onere finanziario ulteriore rispetto al CUP (800 €), anche se riconducibile a titoli convenzionali (come nel caso delle concessioni contratto).

Una chiara indicazione che il Comune di Verona potrà utilizzare avveso le (potenziali) pretese deli antennisti.

Alberto Speciale

(Foto di copertina: Forte San Mattia, credit Alberto Speciale, diritti riservati)

 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

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