La Cassa Integrazione torna a salire a Verona

 
 

Dopo le vette epocali raggiunte negli anni del Covid (oltre 51 milioni di ore autorizzate nel 2020 nella nostra provincia, e altre 22 milioni nel 2021, contro le appena 1,7 milioni di ore del 2019) la discesa in picchiata della cassa integrazione sembra essere già finita. 

I dati di consuntivo resi noti dall’Inps già dallo scorso gennaio indicano che nel corso del 2023 si è verifica una nuova impennata della Cig nel nostro territorio nell’ordine del 22,3%: 6,3 milioni di ore autorizzate nel corso di tutto il 2023 contro le 5,1 milioni di ore del 2022. Un destino che accomuna quasi tutte le province venete (Treviso +25,2%, Padova +13,3%, Belluno +30,6%, Vicenza +49,7%, Rovigo +76,8%), e molte regioni del centro Nord dalla vocazione “esportatrice” (Veneto +25,4%, Friuli +25,9%, Toscana +27,5%, Emilia Romagna +26,3%). 

La tendenza sembra confermata dai nuovi dati Inps aggiornati a gennaio 2024 compreso: il primo mese dell’anno nuovo si è infatti chiuso nel veronese con 731.320 ore di Cig autorizzate, che sono più del doppio (+125,3%) delle ore autorizzate a dicembre 2023 (324.775) e più del triplo (+312,2%) di quelle di gennaio 2023 (177.531). A livello regionale in Veneto si assiste ad un sostanziale raddoppio delle ore di Cig (6 milioni a gennaio 2024 contro le circa 3 milioni di dicembre 2023 e di gennaio 2023). Anche il dato nazionale (47,9 milioni di ore a gennaio 2024) è in forte crescita: +69,6% rispetto a dicembre (28,2 milioni di ore) e +19,0% rispetto a gennaio 2023 (40,2 milioni di ore).   

Per ritrovare livelli di impiego di ammortizzatori sociali così alti bisogna risalire alla metà degli anni Dieci con uno scenario internazionale influenzato dalla Brexit e l’onda lunga della crisi del debito sovrano italiano del 2011.

“Lo scenario che oggi abbiamo davanti è ovviamente del tutto differente, ma condivide con il passato lo stesso identico vuoto di politiche economiche ed industriali che hanno caratterizzato anche tutti gli ultimi 30-40 anni” commenta la Segretaria generale Cgil Verona Francesca Tornieri. “Come abbiamo ribadito mercoledì scorso, nel corso del ‘contro G7’ tenuto in fiera a Verona con Cgil Veneto e Cgil nazionale – continua Tornieri – l’idea di lasciare alle regole del mercato l’attuale momento di transizione (energetica, ambientale, tecnologica, sociale) è non solo folle, ma foriera di gravi conseguenze economico e sociali. Il Paese deve decidere quale strada prendere ed è responsabilità dei governi eletti dare la direzione, facendosi carico delle conseguenze sulle persone che sono o che entrano in difficoltà”.

Se per pura ipotesi tutta la Cig erogata nel mese di gennaio 2024 fosse a zero ore, ciascun lavoratore o lavoratrice full time e full year coinvolta perderebbe, in media, ben 529 euro al mese. Inoltre, considerando che un lavoratore full timer in un mese lavora, in media, circa 184 ore, è come se, a gennaio 2024 fossero stati mandati via dal loro posto di lavoro circa 4 mila lavoratori o lavoratrici veronesi; 32.780 lavoratori veneti; 260.532 italiani. Senza contare i contratti di solidarietà attivati nello stesso periodo che porterebbero a ritoccare queste cifre all’insù.

Secondo Martino Braccioforte, Segretario Generale Fiom Cgil Verona, “I lavoratori della termomeccanica veronese stanno soffrendo parecchio, in termini di cassa integrazione, le difficoltà o le incapacità ad individuare una strategia (che non sia quella della mera richiesta di deroghe) rispetto alle scelte europee che dicono che dal 2040 non si potranno più produrre caldaie a gas. Soffrono inoltre – e non solo a Verona – le imprese ‘esportatrici’, logica conseguenza del rallentamento dell’economia tedesca, visto che la Germania è uno dei principali mercati di sbocco di merci e semilavorati realizzati nei nostri territori. Cassa integrazione, ma anche contratti di solidarietà, per molti lavoratori della siderurgia scaligera, che accusa la difficilissima congiuntura internazionale, caratterizzata da guerre e tensioni commerciali”. 

In fibrillazione anche il settore edile, che dopo la cancellazione del superbonus 110% si divincola all’interno di una sostanziale carenza di prospettive a fronte degli impegnativi obiettivi europei di riqualificazione del patrimonio residenziale privato (cosiddetta Direttiva Casa Green).  

 
 

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