Regione Veneto: Consiglio dei Ministri promuove ricorso contro Legge per il recupero dei sottotetti a fini abitativi

 
 

Il Presidente del Consiglio dei Ministri ha presentato, attraverso l’Atto di promovimento del giudizio della Corte Costituzionale n. 27, il ricorso per questione di legittimità costituzionale depositato i dicembre 2019, n. 51 recante “Nuove disposizioni per il recupero dei sottotetti a fini abitativi”, artt. 1, comma 1; 2, commi 1, 2 e 3; e 3. .(GU 1 Serie Speciale – Corte Costituzionale n.15 del 8-4-2020)

La Legge Regionale del Veneto n. 51 del 2019 ha la finalità (art.1, c.1) di promuovere «il recupero dei sottotetti a fini abitativi con l’obiettivo di contenere il consumo di suolo attraverso un più efficace riutilizzo dei volumi esistenti e la valorizzazione del patrimonio edilizio esistente, favorendo la messa in opera di interventi tecnologici per il contenimento dei consumi energetici, nel rispetto delle caratteristiche tipologiche e morfologiche degli edifici nonché delle prescrizioni igienico-sanitarie riguardanti le condizioni di abitabilità», fatto «salvo quanto previsto all’art. 2».

Nella seduta del 21 febbraio 2020, il Consiglio dei ministri ha deliberato di impugnare la Legge Regionale 51/2019, in relazione ai suoi articoli 1, comma 1°, 2, commi 1°, 2 ° e 3° e 3, proponendo, pertanto, ricorso ai sensi dell’art. 127 Cost. per i seguenti tre motivi:

1) Violazione degli articoli 3 e 32 della Costituzione. In relazione all’art. 117, comma terzo, violazione di principi fondamentali nelle materie, di legislazione concorrente, della «tutela della salute» e del «governo del territorio».

Le disposizioni dell’art. 1, comma 1° e dell’art. 2, comma 1°, della Legge Regionale 51/2019 si pongono in contrasto con il disposto del Decreto del Ministro della Sanità del 5 luglio 1975 e s.m.i., recante «Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896 relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali d’abitazione», in quanto le altezze previste dalla Legge Regionale differiscono dalle disposizioni indicate dal Decreto Ministeriale, le quali, giova ricordare, costituiscono diretta attuazione della normativa nazionale in materia di igiene e di suolo pubblico negli aggregati urbani.

Le disposizioni regionali violano, secondo la Presidenza del Consiglio dei Ministri, l’art. 3 e l’art. 32 della Costituzione in quanto si discostano, senza che emerga una ragionevole giustificazione, dai parametri individuati dallo Stato con il Decreto Ministeriale del 5 luglio 1975. Le disposizioni in questione si pongono altresì in contrasto con i principi fondamentali nelle materie della tutela della salute e del governo del territorio, stabiliti nel medesimo Decreto Ministeriale, cui può essere attribuita efficacia precettiva e inderogabile, tale da costituire efficace fonte di delimitazione della concorrente competenza regionale, così come è stato ripetutamente affermato, nella disciplina contenuta nel Decreto Interministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, in materia di limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza e di distanza fra i fabbricati.

2) Violazione dell’art. 9 della Costituzione. In relazione all’art. 117, comma secondo, lett. s), Costituzione violazione della potestà legislativa esclusiva dello Stato nella materia della «tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali». Violazione del principio di leale collaborazione.

La disposizione di cui all’art. 2, comma 2, della Legge Regionale  51/2019 impone che il recupero dei sottotetti avvenga senza alcuna modificazione della sagoma dell’edificio esistente, delle altezze di colmo e di gronda, nonché delle linee di pendenza delle falde, fatta eccezione per l’ispessimento delle falde al fine di garantire i requisiti di rendimento energetico. Sono escluse, pertanto, le modificazioni più significative dell’aspetto esteriore degli edifici che potrebbero derivare dal recupero in questione e avere rilevanza paesaggistica.

Il ricorso della Presidenza del Consiglio dei Ministro osserva che il recupero dei sottotetti può rendere necessaria l’apertura di finestre a raso e la creazione di abbaini o di altre tipologie di aperture, onde assicurare i requisiti illuminotecnici e di aerazione, ai fini dell’abitabilità dei locali sottotetto. Al riguardo, la norma regionale demanda al Regolamento Edilizio Comunale la determinazione delle «tipologie di apertura nelle falde e ogni altra condizione al fine di rispettare gli aspetti paesistici, monumentali e ambientali dell’edificio sul quale si intende intervenire». Inoltre, al comma 3°, con riguardo alla tutela monumentale di competenza statale, vengono fatte salve le diverse disposizioni della Parte II del Codice dei beni culturali e del paesaggio. Per quanto concerne la tutela paesaggistica, la clausola di salvezza viene invece riferita alle «diverse previsioni del piano regolatore comunale per gli edifici soggetti a tutela ai sensi degli articoli 13 e 17 della Legge Regionale 23 aprile 2004, n. 11 — “Norme per il governo del territorio e in materia di paesaggio”», dunque ai soli contenuti del piano regolatore comunale.

Nel ricorso viene evidenziato che anche l’introduzione di aperture nei tetti può rivestire una rilevanza paesaggistica, in particolare nell’ambito dei centri storici o dell’edilizia storica extraurbana.

La determinazione delle «tipologie di apertura nelle falde e ogni altra condizione al fine di rispettare gli aspetti paesaggistici» non può, pertanto, essere demandata, per gli ambiti territoriali sottoposti a tutela paesaggistica, ai regolamenti edilizi o ai piani urbanistici comunali, ma deve essere regolata necessariamente dal Piano paesaggistico, ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, o dalla disciplina d’uso dei beni paesaggistici del medesimo Codice.

Per tale ragione le citate disposizioni regionali invadono la sfera di competenza esclusiva riservata allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lett. s) , della Costituzione, e pregiudica l’interesse costituzionale alla tutela del paesaggio, tutelato dall’art. 9 della Costituzione, che costituisce valore primario e assoluto

La Legge Regionale in esame, e in particolare l’art. 2, commi 2° e 3°, confliggono dunque con la normativa statale, laddove affida esclusivamente agli strumenti urbanistici la disciplina che regola, per i beni paesaggistici, le possibili trasformazioni delle coperture degli edifici potenzialmente anche molto rilevanti come ad esempio la diffusa introduzione di finestre a raso o abbaini sulle coperture delle unità edilizie che compongono il tessuto dei centri storici tutelati sotto il profilo paesaggistico.

Questo profilo di illegittimità non viene meno per il fatto che la disciplina regionale non esclude la necessità di munirsi, per gli interventi relativi a beni tutelati, anche dei l’autorizzazione paesaggistica, in quanto la normativa regionale comunque consente, a monte e in astratto, possibili ampie trasformazioni degli immobili e quindi del contesto tutelato, a scapito della sua «conservazione» e «integrità». Viene pertanto compromessa la possibilità di una valutazione complessiva della trasformazione del contesto tutelato, quale dovrebbe avvenire nell’ambito del Piano paesaggistico, adottato previa intesa con lo Stato e attualmente in itinere, rimettendo alla Soprintendenza una (mera) valutazione caso per caso degli interventi.

Infine viene rilevata la violazione del principio di leale collaborazione, atteso che da anni è in corso con la Regione Veneto il tavolo di copianificazione per l’elaborazione congiunta del Piano Paesaggistico Regionale, ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice, sede istituzionalmente deputata al confronto sulle questioni in esame.

3) In relazione all’art. 117, comma terzo, violazione di principi fondamentali nella materia del «governo del territorio».

L’art. 3 della Legge regionale impugnata stabilisce, ai commi 1° e 2°, che gli interventi diretti al recupero dei sottotetti sono classificati come ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del D.P.R. 380/2001 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia») e che tali interventi previsti sono soggetti a segnalazione certificata di inizio dì attività (c.d. «SCIA») ai sensi di tale D.P.R., comportando la corresponsione di un contributo commisurata agli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria e al costo di costruzione di cui all’art. 16 del medesimo Decreto, calcolati sulla volumetria, resa abitativa secondo le tariffe approvate e vigenti in ciascun comune per le opere di nuova costruzione. Queste previsioni, nell’assoggettare gli interventi diretti al recupero dei sottotetti — correttamente qualificati quali ristrutturazioni edilizie — a segnalazione certificata di inizio attività, violano le norme interposte contenute nell’articolo 10, comma 1°, lettera c) , 23, comma 1, lett. a) e all’articolo 22, comma 1°, lett. e) del medesimo testo unico dell’edilizia. Le indicate norme statali, infatti, esigono, per simili tipologie di intervento, il permesso di costruire o la SCIA alternativa al permesso di costruire.

Il mero riferimento operato dalla disposizione regionale in parola alla «segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA) ai sensi del D.P.R. 380/2001», considerata anche la genericità del richiamo al testo unico dell’edilizia, non appare sufficiente a indicare correttamente il titolo richiesto dalla normativa statale ai fini della realizzabilità dei predetti interventi.

Le norme regionali quindi, nella misura in cui violano le disposizioni sopra richiamate del testo unico dell’edilizia, che costituiscono principi fondamentali in materia di governo del territorio, si pongono in contrasto con l’art. 117, terzo comma, della Costituzione.

 

Non resta che attendere l’esito del giudizio da parte dei Giudici Costituzionali per capire se sarà dichiarata l’illegittimità dell’art. 1, comma 1°, dell’art. 2, commi 1°, 2° e 3° e dell’art. 3, della Legge Regionale del Veneto 23 dicembre 2019, n. 51 così come richiesto nel ricorso presentato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Alberto Speciale

 

 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

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