Tempestoso 1848: tracce storiche veronesi, a 170 anni di distanza

 
 

Centosettanta anni ci separano da quel 1848 che fu decisivo nella storia europea: i semi della Rivoluzione francese si erano sparsi e avevano generato insopprimibili esigenze di riforme, spesso accompagnate da moti, scontri e vittime.

Le note 5 giornate di Milano si tradussero nella cacciata delle truppe austriache, che ripararono nel Quadrilatero (Verona, Peschiera, Mantova, Legnago); parte di esse entrò in Verona attraverso porta San Zeno e andò a piantar campo sulla spianata tra San Massimo e Chievo. Un appassionante e documentato libro di Luca Zanotti, “Borgo Nuovo. La storia di un territorio, la nascita di una comunità“, pubblicato nel 2013, ci ricorda che circa un terzo dei soldati sotto Radetzky era italiano; tra essi, i fanti del reggimento 45 “Arciduca Sigismondo” erano veronesi e rodigini. Due battaglioni erano solitamente di stanza in città, ma al tempo della sommossa milanese, uno si trovava a Bergamo e fu chiamato dal generale a dar man forte a Milano, contro gli insorti, distinguendosi nella pugna, ma ripiegando poi nel Quadrilatero e ricongiungendosi con il proprio reggimento 45.

Il 6 maggio 1848 si combattè una dura battaglia sul ciglione tra Tomba, Tombetta, San Massimo e Chievo, in particolare a Santa Lucia: il re di Sardegna, Carlo Alberto, mosse contro l’esercito di Radetzky, nel quadro della prima guerra d’indipendenza italiana e si realizzò il terzo importante momento, dopo Goito e Pastrengo. Fu anche il più sanguinoso dei tre e la prima sconfitta piemontese: nel bilancio finale austriaco 72 morti (di cui 7 ufficiali), 190 feriti (di cui 8 ufficiali) e 87 dispersi o prigionieri; in quello piemontese 110 morti (di cui 6 ufficiali) e 776 feriti (di cui 31 ufficiali).

Alla battaglia di Santa Lucia successe Custoza, il 25 luglio dello stesso anno, che determinò la ritirata piemontese fino a Milano e la firma dell’armistizio di Salasco. Gli sconfitti lasciarono sul campo 212 morti, 657 feriti e 270 prigionieri; gli austriaci 175 morti, 723 feriti e 422 fra prigionieri e dispersi. La stessa Custoza fu scenario di un altro scontro, il 24 giugno 1866, che aprì la terza guerra d’indipendenza e che vide la sconfitta delle truppe italiane comandate dal generale La Marmora: numericamente superiori, furono tuttavia vinte da quelle austriache dell’arciduca Alberto d’Asburgo, duca di Teschen, arrivate da Verona uscendo da porta San Zeno. Nelle nostre file era inquadrato anche il principe ereditario Umberto, che aveva alle dipendenze il tenente Edmondo De Amicis, il poi noto scrittore. Un’eco cinematografica di questo intenso episodio storico si trova nel meraviglioso Senso di Visconti, tratto da una novella di Camillo Boito.

Il 1848 punteggiò Verona e provincia di molti altri avvenimenti: venne eretta una prima cerchia di undici forti (1848-59), cui seguì altra di nove, realizzata tra 1860 e ’66. Nel ’48 fu terminato palazzo Barbieri, dal nome del suo ingegnere progettista, Giuseppe; attuale sede del municipio, era stato concepito per ospitare i militari del corpo della Guardia Civica, inserito nell’opera di riqualificazione della piazza. Sotto il pronao oggi si può leggere: “Verona segna ad esempio i nomi de’ suoi figli che dal 1848 al 1866 in carcere, sul patibolo o in guerra morirono per la indipendenza, libertà e unità d’Italia”; segue elenco.

Castelnuovo l’11 aprile 1848 vide affrontarsi oltre tremila soldati austriaci e un corpo italiano di volontari, arrivato dal lago per impadronirsi di una polveriera. Circa duecento dei quattrocento italiani rimase asserragliato nel paese, che venne messo a ferro e fuoco; i volontari sopravvissuti fuggirono verso Lazise inseguiti dalla cavalleria, mentre la parte degli austriaci rimasta a Castelnuovo si accanì contro la popolazione, per presunto collaborazionismo: la chiesa fu profanata, le case vennero saccheggiate e bruciate, vennero compiuti stupri e si massacrò una quarantina d’inermi, tra cui vecchi, donne e bambini. Un eccidio raccontato nella cronistoria di Cesare Betteloni (in versione digitale), precisamente nello stralcio sottostante riportato, che non abbisogna di ulteriori commenti.

Ecco gli episodi. 
Il postiglione Francesco Zanella, minacciato da un sergente che 
vuol cibarsi, con una secchia traversa il cortile fra il grandinar delle 
palle e dei razzi per andar in cantina a prendere del vino. Il de- 
putato Frinzi, vecchio ottuagenario, traversa la piazza, barcollando 
sotto una pioggia di proiettili e si ricovera nel prato del feudo 
Cossali : un soldato lo fa stramazzare e il vecchio perde dalla sac- 
coccia molte monete. Mentre il soldato raccoglie il denaro, il vec- 
chio può fuggire a San Giorgio in Salici. 
(1) C/r. - Angelini. 
(2) Cfr. - Perini - Gazzetta di Verona 1868. 
(3) C/r. - Don Netti. 
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Presso la chiesa sono fatti prigionieri quattordici volontari e 
quindici abitanti; tra questi il coadiutore della parrocchia Don Oliosi, 
vecchio podagroso, il maestro comunale, sua moglie e la vecchia 
caffettiera Marianna Cavalli. Le donne sono derubate dei pochi 
monili e rilasciate; gli altri ventisette sono fatti salire sul monte 
Croce Papale, legati con funi e lasciati tutta la notte senza cibo e 
minacciati reiteratamente coi fucili puntati sul petto. È deriso il loro 
spavento: sono costretti ad assistere al massacro e all'incendio delle 
loro case. 
Matilde Sabaini, moglie di Bartolomeo Negri, sola con quattro 
bambini, sente sfondare l'uscio di casa; si caccia a nascondersi 
coi figli in un ampio tino. I soldati fanno scempio della casa, poi 
scendono per ispillare del vino dal tino e ne levano il cocchiume, 
trattenendosi poi più di un' ora nel locale. E la madre sa imporre 
alle sue creature terrorizzate il silenzio. 
Lorenzo Rossi sta bevendo un bicchier di vino, tutto ansante 
per uno scampato periglio; un soldato gli spara una fucilata a 
bruciapelo e lo stende cadavere, e quindi gli fa balzare con un 
altro colpo le cervella, sfigurandolo in tal modo da non poter es- 
sere riconosciuto nemmeno dai propri figli. 
Quattro povere donne e la ragazzetta Manetta Canestri cercano 
salvamento sotto un portico, riparandosi dietro un cavallo. Circuito 
il cortile, i soldati moschettano la povera bestia, e feriscono Anna 
nel petto e Maria Ragnolini Tacconi sotto il dorso; Fortunata Fio- 
rini e Santa Scatolo si salvano, trascinando seco le due ferite, le 
ricoverano nella cantina di Carlo Avanzi e fuggono. 
Le due disgraziate, arse di sete, impotenti a muoversi per le 
ferite passano ore terribili. Anna muore alle undici di notte. Il mat- 
tino sono scoperte dai soldati, e Maria si salva la vita implorando 
pietà a quei soldati che la vogliono uccidere. 
Nella casa rurale di Angela Santi sono nascosti dieci volon- 
tari. Uno stormo di cavalleggieri li traggono a uno a uno, più il 
marito, e due altri parenti, e li ammazzano tutti. La moglie si salva 
per miracolo nascondendosi. 
I due coniugi Sembenini sono scoperti nella loro casa presso la 
parrocchia, e lentamente trucidati l'uno rimpetto all'altra, poi inchiodati 
colle baionette sul loro letto, dove rimangono carbonizzati dalle fiamme. 
Michelangelo Mischi, di dieci anni, cade con la testa spaccata 
da colpi di sciabola. 
L'ECCIDIO DI SEDICI PERSONE A CASTELNUOVO 
Dall' opera del Bertollni: " Il Risorgimento Italiano. ,, 
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(1) Nella casa Cavattoni, farmacista, situata a pochi metri dalla 
chiesa, oltre la famiglia del padrone, si erano ricoverati alcuni suoi 
amici. Fra costoro si trovava il nobile. Filippo Gianfilippi, possi- 
dente del luogo. Indescrivibile fu l'angoscia e lo strazio di quei 
disgraziati senza soccorso, senza speranza di scampo ed esposti 
alla rabbia selvaggia della soldatesca. La casa fu circondata, il 
capitano Sabino Mauller del reggimento Hagowitz, battè alla porta 
della casa intimando di aprire. Il proprietario si mise a guardare 
dallo spiraglio di una finestra e ravviso il capitano, che egli cono- 
sceva di persona e che, in altri tempi, nell'occasione di una ma- 
novra nelle posizioni vicine, egli aveva amichevolmente ospitato. 
Il misero vide nell'ufficiale il solo mezzo di scampo. Aperta la fi- 
nestra lo chiamò per nome, rammentandogli con tronche parole 
l'antica relazione e raccomandandosi alla sua protezione. 
Lo sgherro dell'Austria, simulando cortesia rispose dicendo 
che in lui confidasse e scendesse colla propria famiglia. L'ingan- 
nato volle scendere. (2) Il Gianfilippi gli offerse una forte somma 
perchè non lo si facesse uscire, ma i due figli del Cavattoni, af- 
ferratolo per r abito, lo costrinsero a uscire con altre dodici persone, 
mentre altre cinque rimasero, per loro fortuna, nascoste. 
Gli altri sedici furono condotti fra due file di soldati sul colle 
della Torre. In testa era Marina, moglie del vecchio Cavattoni spe- 
ziale ; gettatasi in ginocchio con un piccolo crocefisso in mano 
invocò pietà e fu rilasciata, ritenendola pazza; anche la fantesca 
potè fuggire. Testa Catterina, la Pallavicini levatrice e sua figlia 
Lucia salirono il loro calvario. Giunti sul colle il capitano, estratta 
una pistola, trapassò proditoriamente il cuore al nobile Gianfilippi, 
i soldati alla distanza di tre passi scaricarono le armi su quel 
gruppo di infelici, che caddero di stianto. Il vecchio fabbriciere 
Pietro Sembenini, colpito al braccio di cui poi perdette l' uso, 
potè salvarsi, fingendosi morto. Lorenzo Cavattoni, ferito al petto, 
grondante sangue, potè poi a stento raggiungere a Colà il suo 
amico speziale Luigi Negri, e morì il mattino dopo. 
Solo la fanciulla Maria Rossi, figlia di Lorenzo già trucidato, 
cadde travolta dagli altri, incolume. Stette immobile per lungo tempo 
sotto il mucchio di cadaveri : poi, credendosi sola, si scosse" un 
(1) Cfr. - Perini - Gazz. 1868. 
(2) Cfr. - Don Netti. 
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caporale la vide, la sollevò cortesemente e da ignobile mezzano la 
condusse al suo capitano Mauller che la violentò, come furono 
violentate dai soldati molte altre, quali Teresa Titani, Elisabetta Mon- 
dini, che portò poi in seno il frutto dell'atto maledetto. 
Anche la povera Lucia rimase sotto l'orribile mucchio di ca- 
daveri dismembrata e uccisa. Domenico Crema, non mortalmente 
ferito, avrebbe potuto col Sembenini e col Zuliani sottrarsi alla morte, 
ma, viste la moglie e la figlia boccheggianti, si alzò per soccorrerle, 
quando un soldato con un colpo di baionetta lo finì. Morirono, oltre 
i nominati, la moglie di Bernardo Zuliani, Sembenini Allodato di 
tre anni fra la braccia della nonna Giulia e il garzone quindicenne 
del Cavattoni. 
(1) Nella casa del farmacista, Giovanni Battista Rossi ed Antonio 
Castioni, meglio ispirati dal proprio timore, erano rimasti nascosti 
sotto alcuni mobili, passarono inosservati e rimasero in casa. Se 
non che gli austriaci, perpetrato il nefando assassinio, vi appiccarono 
il fuoco. Allora i due disgraziati, resi audaci dall'imminente pericolo, 
slanciatisi da una finestra posteriore dell' abitazione, si diedero a 
correre attraverso le ortaglie e i campi. I soldati se ne accorsero 
tosto, spararono, ma i due fuggitivi riuscirono a mettersi in salvo e a 
raggiungere le rive del lago. 
Vi furono in quell' occasione atti di coraggio il più eroico e com- 
moventi episodi. Vecchi e timide femmine si esposero agli estremi 
sbaragli e si avventarono su quei mostri per strappare dalle loro 
mani o per soccorrere le vittime. Una sposa Carletti, fra i cadaveri 
del marito e del padre, con uno sforzo di sovrumana energia, si 
slanciò a levare da terra, sotto gli occhi di quelle tigri, una bam- 
bina ferita e morente. Tale atto di abnegazione sublime le avrebbe 
costato la vita, se pronto un soldato più umano, non si fosse ado- 
perato a salvarla. Un'altro soldato dell' Hagowitz, italiano, non po- 
tendo altrimenti sottrarre dalla morte una ragazza, che gli si era in 
quella disperazione raccomandata, la indusse a gettarsi per terra e 
le distese sul capo il grembiale, che macchiò appositamente di san- 
gue, facendola credere già da lui uccisa. Altri soldati salvarono dei 
bambini che, per fortuna, fra tanto spavento, si dimenticavano per 
fino di piangere, occultandoli sotto i rottami delle case incendiate, 
nei fossi o in altri luoghi meno esposti alla vista e alla devastazione. 
(n C/r. - Perini Gazz. 1868. 
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Non pochi abitanti si ricoverarono in chiesa, ove sperarono 
aver salva la vita. Erano, per la massima parte, donne e fanciulli 
molti dei quali ancora lattanti. All'appressarsi degli Austriaci si 
erano in parte ritirati dietro l'altare maggiore ed in parte nascosti 
in un piccolo stanzino laterale e sulla scala che mette al pulpito. 
Ben tosto, gli austriaci invasero la sacristia e la chiesa, spa- 
rando nell'atto di entrare, una salva di fucilate nella direzione del- 
l'altare maggiore. 
(1) Giovanni Battista Santi, Carlo Testa, Carlo Baldi, Marianna 
Andrioli ed altre donne rimasero illese; Luigi Gaburro, nascosto 
in un confessionale, fu ferito al braccio sinistro e morì poi all'ospe- 
dale di Valeggio. L'ottuagenaria Giustina Negri, fuggendo, fu col- 
pita e bruciata da un razzo sulla porta della chiesa. 
I soldati ruppero ed asportarono imagini, candelabri ed arredi: 
spezzarono il tabernacolo e gettarono le ostie per terra, calpestan- 
dole in segno d'odio e di sprezzo; poi, uscirono senz'accorgersi 
affatto della gente nascosta sulla scala del pergamo. Volle provvi- 
denza o fortuna, che durante il saccheggio nessuno fiatasse. 
Teresa Baldi Andrioli d'anni 35, madre di cinque figli, fu fred- 
data da una palla sul limitare della porta segreta della chiesa. 
Sino dai primi momenti del combattimento gli insorti avevano 
fortemente occupato il palazzo Angelini, posto nel cuor del paese, 
ove appunto la strada comincia a salire, facendone il perno della 
loro difesa appiedi del colle. Il castaido, custode del luogo, lascia- 
tosi cogliere, cercò rifugio nell' attiguo giardino, ove si nascose nel 
folto di una macchia insieme alla famiglia. 
Poco dopo il palazzo, sgombrato dagli insorti, rigurgitò di 
austriaci, i quali vi appiccarono il fuoco. Fra lo spavento e l'an 
goscia la misera famigliola stette colà nel più stretto e completo 
silenzio per lunghe e lunghe ore. Il nemico sulle prime, aveva 
percorso e visitato il giardino, trucidandovi alcuni volontari che vi 
si erano appiattati. 
La notte sopravvenuta era rischiarata dal bagliore degli incendi. 
Gii austriaci abbandonate le fumanti rovine occuparono le strade, 
i bivii ed i trivii che tengono a Castelnuovo luogo di piazze: ma 
il tumulto, lo schiamazzo, un po' alla volta diminuì. Allora le po- 
vere donne nascoste, fattosi animo, cominciarono a sillabare sottovoce 
(1) Cjr. - Don Netti. 
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qualche parola. Se non che, quelle voci sommesse vennero udite 
da un altro infelice: un volontario che ferito alla coscia, non avendo 
potuto fuggire, si era la sera antecedente, al sopi-avvenire del nemico, 
gettato come morto in un fosso del giardino. La tremante ed an- 
gosciata famiglia rimase terrorizzata. La prima ispirazione fu quella 
di fuggire. Le donne scavalcarono e saltarono sulla strada. Una 
pattuglia nemica, poco lungi appostata, se ne accorse, e loro inviò 
una salva di palle senza colpire nessuno. 
Il castaido con una bambina rimase nel suo nascondiglio, of- 
frendo al ferito tutti i soccorsi che le circostanze rendevano pos- 
sibili; ma prima dell'alba il giovane era morto. 
Poco dopo il levare del sole, un drappello di austriaci, venuto 
ad esplorar nuovamente il giardino, scoperse l'esangue cadavere, 
e il castaido e la bimba li presso rannicchiati e nascosti. Un sol- 
dato abbassò senz'altro il fucile, prese di mira il disgraziato e lo 
avrebbe sull'istante spacciato, se un suo compagno, impietosito 
dall'aspetto della bimba, non l'avesse rattenuto, persuadendolo non 
essere quello un « brigante » (un insorto), ma un povero padre la 
cui vita era necessaria alla sua bambina. Così l'infelice fu salvo. 
(1) Ed ecco un esempio di grottesca ferocia commesso da un 
capitano del reggimento Piret nel palazzo dei Cossali: egli ordinò 
ai domestici di fargli subito la polenta. Non appena questa fu ro- 
vesciata fumante su! tagliere, egli sfoderò la sciabola ancora insan- 
guinata di chi sa quanti omicidi, e con questa tagliò delle fette, 
ingiungendo ai disgraziati di mangiarle. Di quella polenta sangui- 
nosa ne mangiarono tra gli altri l'ortolano del conte Cossali e Gia- 
como Bello. 
Il fratello dell' arciprete Periato Maurizio d' anni 42 e la sua 
serva, durante il saccheggio della casa parrocchiale, si salvarono 
nascondendosi sotto una bica di covoni di paglia, quindi fuggirono 
a Colà. Ma 1' audace Maurizio volle ritornare imprudentemente in 
Castelnuovo, da cui dovette nuovamente fuggire e riparare a Brescia. 
Ivi giunto una puerile ostentazione lo tradì, palesò il suo nome, e 
venne fucilato. 
Il soldati non diedero quartiere a nessuno. Vi furono stupri e 
saccheggi, dei quali è difficile conoscere il numero. Continuarono 
a incrudelire e ad uccidere anche molte ore dopo cessato il com- 
(1) Cfr. - Angelini. 
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battimento. I volontari feriti, caduti nelle mani di quei mostri peri- 
rono fra le più raffinate torture. Tre cadaveri furono trovati insieme 
legati da una catena di ferro colle membra mutilate e annerite : 
erano morti lentamente abbruciati. Altri furono letteralmente sbranati 
o mezzo arsi ; mucchi di teste e membra umane giacevano qua e là 
abbandonate e disperse sulle vie e nelle case incendiate. Certe mu- 
tilazioni di cadaveri, attestarono un grado supremo di perversità e 
di depravata ferocia. 
(1) Le strade erano sparse di cadaveri mezzo arrostiti, che ve- 
nivano divorati dai cani : era uno spettacolo orrendo. Presso la 
chiesa una vecchia irrigidita era stesa supina, coi capelli bianchi in 
una pozza di sangue, la sua mano teneva la mano di una giova- 
nissima fanciulla, le cui vesti erano consumate dalla fiamma (2). 
Castelnuovo divenne un silenzioso deserto, campo di macerie 
e di ruderi. Rimasero la casa della Posta Cavalli, l'osteria ove era 
ricoverato il Generale Taxis, ferito al principio del combattimento, 
la chiesa, la sacristia e alcune meschine casupole situate alquanto 
più in basso e a sinistra, risparmiate perchè non valeva la pena 
distruggerle. Le fiamme continuarono per tutta la notte e per tutto 
il giorno seguente: e sino nella successiva settimana si sollevavano 
frequenti colonne di fumo. 
I soldati partirono carichi di bottino. Inoltre, numerosi cariaggi 
militari e civili portarono nei circonvicini villaggi e a Verona grande 
quantità di spoglie rubate. E, purtroppo, vi fu chi, approfittando 
delle fraterne sciagure, acquistò per lievissime somme, arredi e sup- 
pellettili che le truppe vendevano a vilissimo prezzo. 
(3) Buona parte dei fuggiaschi fece poi ritorno per aver notizie 
dei parenti e rovistare nelle macerie delle loro case. Fu così che 
in una cantina si rinvennero due donne ancora vive, ma una di- 
ventata pazza dal terrore. 
Non fu cosa facile il provvedere al sostentamento di tanti di- 
sgraziati, i quali nel miserando eccidio avevano perduto ogni cosa. 
La difficoltà di riordinare le cose venne pur facilmente supe- 
rata allorché l'armata Piemontese passò il Mincio, e quando in 
Lombardia e nella generosa Milano e in Verona si organizzarono 

 

 
 
Sono nata a Verona sotto il segno dei Pesci; le mie radici sono in Friuli. Ho un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Sono giornalista pubblicista dell’ODG Veneto e navigo nel mondo della comunicazione da anni, tra carta, radio, tv, web, uffici stampa. Altro? Leggo, scrivo, cucino, curo l’orto, visito mostre, gioc(av)o a volley. No, non riesco a fare tutto, ma tutto mi piacerebbe fare. Corro contro il tempo, ragazza (di una volta) con la valigia.

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