Quinzano, “PUA San Rocchetto”: respinto il ricorso straordinario per violazione del principio di alternatività

 
 

Respinto dal Consiglio di Stato, nell’ Adunanza di Sezione del 25 gennaio 2023, il Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dalle società Immobiliare Eureka Srl e Sar.Mar. SpA, contro il Comune di Verona per l’annullamento della deliberazione n. 244 del 28 lulio 2020, con la quale la Giunta municipale di Verona ha restituito, ai sensi dell’art. 20 della Legge regionale del Veneto n. 11/2004, il Piano Urbanistico Attuativo (P.U.A.) denominato “San Rocchetto”, presentato dalle ricorrenti in data 16 febbraio 2016 e relativo a un’area di proprietà delle società ricorrenti, sita nel Comune di Verona, nella frazione di Quinzano, e di ogni altro provvedimento pregresso, prodromico, correlato e/o consequenziale


La Sezione prima del Consiglio di Stato, vista la relazione del 14 giugno 2022 con la quale il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto il parere  sul Ricorso straordinario proposto dalle ricorrenti società Immobiliare Eureka Srl e Sar.Mar. SpA, lo ha considerato inammissibile per violazione del principio di alternatività.

     Per i giudici «l’ampia e analitica narrativa dei fatti, dimostra come il ricorso in esame si collochi all’interno di un’annosa e complessa controversia che vede opposte la pretesa delle ricorrenti di realizzare un consistente intervento di trasformazione urbanistico-edilizia in un’area di pregio paesaggistico e la costante e reiterata opposizione del Comune di Verona, che ha sin dall’inizio, con la deliberazione n. 1514 del 6 ottobre 2016, rifiutato di adottare il Piano Urbanistico Attuativo (P.U.A.) denominato “San Rocchetto” presentato dalle ricorrenti in data 16 febbraio 2016 e, pur dopo la sentenza del TAR del Veneto n. 453 del 10 aprile 2019, che aveva accertato l’intervenuta adozione del suddetto piano attuativo per silenzio-assenso, ha nuovamente respinto il progetto edificatorio (dapprima con la Delibera della Giunta comunale n. 174 dell’11 maggio 2017, che aveva dichiarato decaduta la “Scheda Norma n. 131”, poi con la Delibera Consiliare n. 31 del 21 giugno 2018, che aveva nuovamente modificato il quadro urbanistico della “Scheda norma n. 131”, infine con la Deliberazione consiliare n. 48 del 28 novembre 2019 di approvazione della così detta “Variante n. 23”), considerando eccessivamente impattante il piano proposto, giudicato anche dalla Soprintendenza, in sede di parere ex art. 16 della legge urbanistica, caratterizzato da “volumi edificatori di altezza e volumetria eccessiva”, che avrebbero determinato “un consumo sproporzionato dell’area attuale, che comporta un’alterazione negativa del contesto paesaggistico di riferimento».

     Al Consiglio di Stato, dalla ricostruzione dei fatti, risulta che il contenzioso in sede giurisdizionale prosegue ed è tutt’ora pendente e non ancora definito. Parte ricorrente ha infatti impugnato dinanzi al TAR del Veneto sia la nota del 10 settembre 2019, con la quale il Comune di Verona ha chiesto il parere della Soprintendenza (ricorso n. 1012/2019 di R.G., tutt’ora pendente), sia la Deliberazione del Consiglio comunale n. 48 del 28 novembre 2019 di approvazione definitiva della sopra menzionata “Variante n. 23” (con ricorso n. 653/2020 di R.G., a tutt’oggi in attesa di definizione).

Ciò premesso, ritiene il Collegio che la fattispecie in esame realizzi le condizioni di operatività del principio di alternatività inteso nella sua accezione sostanziale, riferita al rapporto o affare amministrativo controverso piuttosto che al singolo atto amministrativo impugnato, secondo un criterio sistematico e finalistico, che considera la sequenza procedimentale degli atti e non il singolo provvedimento, guarda al bene della vita perseguito dalla parte più che alla specifica domanda di annullamento dell’atto di volta in volta impugnato e valorizza soprattutto lo scopo dell’istituto dell’alternatività, che è essenzialmente quello di evitare la inutile moltiplicazione delle cause, secondo il principio di economia dei mezzi giuridici, nonché il rischio di contrasto tra giudicati de eadem re.

Di recente la Sezione ha avuto modo di superare la tradizionale concezione puramente formale del principio di alternatività, come operante esclusivamente rispetto a un medesimo atto impugnabile, e di precisarne l’ambito applicativo secondo le seguenti indicazioni ermeneutiche:

la ratio del principio di alternatività tra ricorso giurisdizionale e ricorso straordinario al Capo dello Stato deve essere individuata nell’esigenza di impedire un possibile contrasto di giudizi in ordine al medesimo oggetto e, dunque, di evitare l’inutile proliferazione dei ricorsi ed il pericolo di pronunce contrastanti tra organi appartenenti allo stesso ramo di giustizia;

la regola dell’alternatività tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale opera non soltanto nel caso di identità del provvedimento impugnato, ma anche nel caso in cui, dopo l’impugnativa in sede giurisdizionale dell’atto presupposto, venga successivamente impugnato in sede straordinaria l’atto conseguente, al fine di dimostrarne l’illegittimità derivata dalla dedotta invalidità del menzionato atto presupposto. Ciò per l’identità sostanziale delle due impugnative in relazione alla ratio della norma succitata, la quale, va ribadito, appare volta ad impedire un possibile contrasto di giudizi in ordine al medesimo oggetto;

– a seguito della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto, è necessario rivedere la portata del principio di alternatività escludendo che del medesimo rapporto possano occuparsi contemporaneamente il giudice amministrativo e il Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario;

nell’ipotesi in cui l’atto presupposto (a monte) venga impugnato con ricorso straordinario al Capo dello Stato e il successivo atto presupponente (a valle) con ricorso giurisdizionale dinnanzi al giudice amministrativo o viceversa, occorrerà – in applicazione del principio di alternatività – dichiarare inammissibile il giudizio introdotto per ultimo. Tale conclusione deve reputarsi valida sia nel caso di stretta presupposizione – ossia quando vi è la necessaria derivazione del secondo dal primo come sua inevitabile ed ineluttabile conseguenza e senza necessità di nuove ed ulteriori valutazioni di interessi – sia nel caso di mera derivazione cui conseguirebbe solo un effetto meramente viziante per l’atto a valle.

per quest’ultima ipotesi, una visione moderna del principio di alternatività impone di rivolgersi allo stesso organo ogni qual volta si discuta del medesimo rapporto giuridico o quando le censure formulate siano identiche e, come detto, riferibili allo stesso rapporto giuridico tra amministrazione e amministrato. Ragionando diversamente si legittimerebbe il frazionamento della tutela giurisdizionale in contrasto con il principio del giusto processo (art. 111 Cost.) e con il suo corollario dell’economia dei mezzi giuridici; aumenterebbe inoltre il rischio di decisioni contrastanti all’interno dello stesso plesso giurisdizionale con conseguente lesione del principio dell’effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost. e art. 1 c.p.a.);

– da ciò consegue che, nel caso in cui l’atto presupponente sia impugnato con ricorso giurisdizionale, a fronte di un ricorso straordinario già promosso avverso l’atto presupposto, il ricorso giurisdizionale dovrà essere dichiarato inammissibile dal giudice amministrativo. Se invece l’atto successivo è impugnato in sede straordinaria, a fronte di un ricorso giurisdizionale già promosso avverso l’atto presupposto, il ricorso straordinario sarà inammissibile per violazione del principio di alternatività;

è inammissibile il ricorso straordinario “a cagione della violazione della regola di “alternatività” che s’impone come limite alla contestuale proponibilità di due distinti ricorsi (amministrativo/straordinario e giurisdizionale) vertenti sulla medesima questione di fatto e di diritto e recanti ad oggetto la medesima pretesa sostanziale (identità della materia del contendere): ricorsi che potrebbero sortire decisioni contrastanti e che la regola dell’ “alternatività” intende, appunto, scongiurare”.

– (…)

il cumulo tra rimedio giurisdizionale e rimedio straordinario deve escludersi, non soltanto quando vi sia identità formale tra i due provvedimenti impugnati, ma anche in presenza di atti formalmente distinti, quando sussista un’obiettiva identità di petitum e di causa petendi, e ciò perché la ratio delle norme che regolano il principio di alternatività è quella di evitare l’inutile proliferazione dei ricorsi ed il pericolo di pronunce contrastanti di organi appartenenti allo stesso ramo di giustizia.

I giudici precisano che già la meno recente giurisprudenza delle Sezioni consultive aveva “aperto” a una valenza più ampia del principio di alternatività, ritenendo che dovesse operare tra ricorsi proposti dal medesimo soggetto ed oggettivamente connessi o allorquando tra i diversi provvedimenti impugnati esista un rapporto di presupposizione, pregiudizialità, dipendenza che: «La regola dell’alternatività del ricorso straordinario al Capo dello Stato rispetto al ricorso giurisdizionale, fissata dall’art. 8, d. P. R. 24 novembre 1971 n. 1199, risponde ad una ratio di tutela non già dei privati bensì della giurisdizione, avendo lo scopo di evitare il rischio di due decisioni contrastanti sulla medesima controversia (divieto del ne bis in idem) e trova applicazione, pertanto, non solo quando si tratta della medesima domanda o dell’impugnazione dello stesso atto, ovvero vi è identità del bene della vita oggetto del rimedio giustiziale esperito, ma anche nel caso di due impugnative rivolte dal medesimo soggetto avverso punti diversi dello stesso atto oppure quando si tratti di atti distinti, ma legati tra loro da un nesso di presupposizione; in sostanza la regola dell’alternatività tra il ricorso straordinario al Capo dello Stato e quello giurisdizionale deve sempre ritenersi operante nei casi nei quali le due diverse impugnative siano sostanzialmente caratterizzate dall’identità del contendere e della relativa ratio».

Nel caso in esame, per il Consiglio di Stato, si assiste all’impugnativa, nella sede straordinaria, con ricorso notificato il 27 novembre 2020, di una delibera – la n. 244 del 28 luglio 2020 di restituzione del P.U.A alla parte proponente – successiva alla delibera del consiglio comunale n. 48 del 28 novembre 2019 (di approvazione definitiva della sopra menzionata “Variante n. 23”) impugnata dalle medesime parti in sede giurisdizionale dinanzi al TAR del Veneto con ricorso anteriormente notificato (il 25 giugno 2020).

La delibera consiliare anteriormente impugnata dinanzi al TAR del Veneto (con ricorso RG 653/2020, che risultava ancora pendente alla data dell’adunanza di trattazione dell’affare in oggetto) risulta essere in larga parte presupposta e pregiudiziale rispetto alla successiva delibera di giunta n. 244 del 28 luglio 2020 in questa sede straordinaria successivamente impugnata. Secondo la stessa prospettazione di parte ricorrente, la delibera in questa sede impugnata (la n. 244 del 28 luglio 2020 di restituzione del P.U.A alla parte proponente) sarebbe intervenuta soltanto ed esclusivamente sul presupposto della presunta incompatibilità del piano attuativo con la sopravvenuta “Variante n. 23” approvata con delibera del consiglio comunale n. 48 del 28 novembre 2019, anteriormente impugnata dinanzi al Tar del Veneto, che aveva introdotto radicali modifiche alla “Scheda Norma n. 131” originaria, “dimezzando la SUL prevista da 13.000 mq a 6.500 mq” e introducendo “prescrizioni edificatorie penalizzanti e restrittive sulla trasformabilità dell’area in esame”.

Per il collegio a nulla rileva sotto questo profilo – sotto il profilo, cioè, della pregiudizialità-dipendenza che lega la Delibera di Giunta n. 244 del 28 luglio 2020 alla Delibera Consiliare presupposta n. 48 del 28 novembre 2019 – la tesi di parte ricorrente secondo la quale il silenzio-assenso, qui invocato, si sarebbe formato prima dell’efficacia della predetta delibera n. 48 del 2019 (poiché il silenzio-assenso sull’approvazione si sarebbe formato in data 11 febbraio 2020, data alla quale il P.U.A risultava, secondo le ricorrenti, ancora conforme al vigente P.I., prima dell’efficacia della successiva deliberazione 28 novembre 2019 di approvazione della variante n. 23, divenuta efficace e vincolante soltanto quindici giorni dopo la sua pubblicazione, avutasi solo in data 3 marzo 2020). Indipendentemente da questa asserzione, infatti, resta insormontabile il dato di fatto che l’eventuale annullamento, dinanzi al TAR del Veneto, della delibera n. 48 del 2019, che ha “dimezzato” la capacità edificatoria delle aree di proprietà delle ricorrenti, caducherebbe (o, quanto meno, invaliderebbe) anche la successiva delibera di giunta n. 244 del 2020 in questa sede impugnata, che ha restituito il piano attuativo alle società ricorrente proprio sulla base della (preminente e prioritaria) considerazione della intervenuta modifica della ripetuto “Scheda norma n. 131” del Piano degli interventi.

Infine, la stessa questione della intervenuta formazione (previa) del silenzio-assenso sull’istanza di approvazione del piano attuativo sarà certamente oggetto di giudizio e di valutazione dinanzi al TAR del Veneto, ponendosi, anche in quella sede, come possibile causa di invalidità della ivi impugnata (e qui pregiudiziale) delibera consiliare n. 48 del 2019.

In conclusione, per tutte le esposte ragioni, il ricorso è stato giudicato inammissibile.

Alberto Speciale

 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

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