Otto per mille, cinque per mille, zero per mille

 
 

di Lorenzo Dalai
 

In questi giorni, dedicati dai cittadini italiani alla Dichiarazione dei Redditi, si ritorna a parlare, dell’eccessivo peso che ha l’otto per mille: una parte dell’opinione pubblica ne reclama la soppressione, con un contemporaneo abbassamento della pressione fiscale che sì, è leggermente calata negli ultimi tempi, ma che resta a livelli francamente insopportabili. L’ultima ricerca SWG ha evidenziato come i cittadini italiani si siano evoluti nei loro atteggiamenti riguardo le scelte religiose, infatti quello che si denota, fanno notare i ricercatori dell’istituto triestino, è “un processo di confluenza verso un’offerta politica liberal (e non meramente centrista), caratterizzata da indipendenza dalle vecchie formule partitiche; da un certo tasso di laicismo; da uno spirito meritocratico, di dinamismo economico e sociale e non solo di vendetta contro la casta”. Ma se la momento appare difficile mettere mano al controverso meccanismo ideato da Mons. Nicora e da Bettino Craxi, che all’epoca venne meno alla caratterizzazione laica del PSI, visto che sarà proprio nei prossimi giorni che arriverà alla Camera i DDL Cirinnà sulle Unioni Civili, c’è un’altra questione potrebbe essere affrontata e diventare quindi propedeutica per la revisione del finanziamento statale alla Chiesa.

Il tema è quello che riguarda i Cappellani Militari i quali, grazie a una legge del 1961, sono equiparati agli ufficiali e per loro lo Stato spende oltre complessivamente oltre 20 milioni di euro l’anno. Papa Francesco la sua opinione l’ha fatta conoscere da tempo: per assistere spiritualmente i soldati, in caserma e nelle missioni all’estero, non servono sacerdoti coi gradi. Sacerdoti-colonnello, tenente o capitano che possono aspirare a diventare generali e hanno diritto a retribuzioni dorate, indennità di ogni tipo, avanzamenti automatici di carriera e una serie di benefit assai lontani dall’idea della Chiesa povera tanto cara al papa venuto dalla fine del mondo. Un universo che è un viatico per fulgide carriere, come mostra il caso del cardinale Angelo Bagnasco, divenuto noto con la celebrazione dei funerali dei soldati caduti in Afghanistan e Iraq e approdato dopo appena tre anni al vertice della Cei. Nel 2015 solo di stipendi i 205 cappellani sono costati oltre 10 milioni, un terzo in più di appena due anni prima. E chissà che direbbe il papa, che puntualmente tuona contro l’arricchimento del clero, se sapesse che l’arcivescovo Santo Marciano, che lui stesso ha nominato ordinario (comandante) nel 2013, in virtù dell’equiparazione a generale di corpo d’armata può contare su 9.545 euro lordi al mese, che con la tredicesima diventano 124 mila l’anno. Il ruolo di vicario generale, assimilabile a generale di divisione, ne garantisce 108 mila, mentre gli ispettori (generali di brigata) arrivano a 6mila al mese. Cifre alle quali aggiungere almeno 7 milioni per pagare le pensioni, che grazie ai cospicui contributi previdenziali si aggirano in media attorno ai 5mila euro al mese. Nel complesso, dunque, l’assistenza spirituale alle Forze armate costa alle casse pubbliche circa 20 milioni: tutti soldi, si badi bene, aggiuntivi rispetto al miliardo di euro dell’otto per mille, che già annualmente entra nelle casse della Cei ed è usato in gran parte proprio per il sostentamento del clero. Ma se lo stipendio di un prete è sui mille euro, un cappellano, come tenente, parte dal doppio e a fine carriera, da colonnello, può superare i 5mila. Senza contare gli innumerevoli bonus: indennità di trasferimento, il rimborso per il trasporto del bagaglio personale e dei mobili, l’indennizzo chilometrico per gli spostamenti e quando vanno in missione internazionale godono pure della relativa lievitazione della busta paga. Il tavolo bilaterale per la revisione della materia si è insediato solo lo scorso gennaio e ci sono voluti altri due mesi per la seconda riunione. Il rischio delle calende greche, insomma, è concreto, anche perché l’Italia si è seduta al tavolo senza nemmeno presentare una sua proposta e ha schierato la stessa squadra che si occupa del Concordato, notoriamente persone assai vicine alla Santa Sede; inoltre tre membri su sei sono anche nella commissione che dovrebbe rivedere il meccanismo dell’8 per mille, mai toccato nonostante le ripetute critiche della Corte dei conti, appunto per l’eccessivo vantaggio che deriva alla Cei dalla modalità di ripartizione dei fondi derivati da questo meccanismo. Vedremo se prossimamente la pressione dell’opinione pubblica sortirà qualche effetto di accelerazione di queste trattative.

 
 

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