Fusioni Bancarie e dintorni

 
 

di Lorenzo Dalai

Aumento di capitale prima negato, ma poi annunciato. Le nozze tra Banca Popolare di Milano e Banco Popolare di Verona sono in dirittura d’arrivo, con l’obiettivo di creare un nuovo grande polo bancario, ma non sono stati ancora chiariti la futura governance e il piano industriale. Si accavallano anche nodi particolaristici e personalistici, come ad esempio quello di un’unica banca con due Consigli d’Amministrazione…

Ai vertici delle due popolari sarebbero stati chiesti approfondimenti sulla situazione dei crediti deteriorati e su alcuni aspetti di governance. E’ probabile che i punti sotto la lente riguardino la struttura del nuovo gruppo, che prevede una spa frutto della fusione tra Bpm e Banco, ma anche una banca-rete controllata, una nuova “Banca popolare di Milano spa” con un proprio consiglio e autonomia garantita per 6 anni. Una soluzione trovata per moltiplicare poltrone e accontentare le varie “anime” all’interno delle due banche, dicono i maligni; un modo per dare identità territoriale alla rete lombarda, dicono altri; comunque, un passaggio poco efficiente sotto il profilo della gestione e del controllo dei costi. Altro punto che ragionevolmente potrebbe aver interessato la Bce è la gestione dei crediti ormai inesigibili, i Npl, particolarmente “importanti” nei conti del Banco. Infatti nei piani di fusione tra i due gruppi si era ipotizzato di “aggredire” e ridurre sostanzialmente la montagna di Npl nell’arco di cinque anni, ma per portare avanti questo tipo di operazione Castagna e Saviotti hanno dovuto capitolare di fronte alle richieste partite da Francoforte e, in palese difformità da quanto dichiarato all’Assemblea dei Soci, da piazza Nogara si apprestano a lanciare un aumento di capitale.

Chiaro che questo potrebbe essere solo un passaggio, rispetto ad un disegno più complesso che in futuro potrebbe interessare anche Veneto Banca e Popolare di Vicenza, la cui salute è stata salvaguardata sulla pelle, meglio con il portafoglio, degli azionisti, che hanno visto polverizzati i loro investimenti. Non che chi ha investito in azioni del Banco Popolare stia meglio, visto l’andamento del titolo in Borsa.

In questo complicatissimo contesto, lasciando da parte, almeno per il momento, le vicende delle altre banche polari venete, si inizia il mandato del neo Presidente della Fondazione CariVerona. Mazzucco dovrà inquadrare quale sarà effettivamente il preventivato apporto all’operazioni di cui sopra, perché sicuramente non sarà un investimento con ritorno in tempi brevi; quindi potrebbe fortemente limitare le capacità di intervento sul territorio della Fondazione, con tutte le conseguenze che questo potrebbe avere sia dal punto di vista economico, ma anche sotto il profilo sociale, viste le finalità delle erogazioni. Meno soldi per iniziative di solidarietà, per restauri, per la cultura. Tra l’altro per poter aderire all’operazione di rafforzamento del Banco Popolare, la Fondazione dovrebbe dismettere una parte delle sua partecipazione azionaria in Unicredit e, visti i valori iscritti in acquisto e l’attuale reale quotazione del titolo, avrebbe una consistente perdita di bilancio.

Siamo ad una prova del fuoco per il cardiochirurgo-presidente, dove si misurerà la sua effettiva adeguatezza a ricoprire un ruolo di prestigio, ma estremamente difficile in un momento altamente rischioso.

 
 

1 COMMENTO

  1. Sentir parlare di FUSIONI BANCARIE provo la stessa sensazione di chi sente parlare d’acqua calda dopo essersi ustionato. A Verona abbiamo vissuto, tramite Cariverona, la fusione per incorporazione in Unicredit. Ricordo benissimo i lusinghieri pareri degli “Esperti in materia” di quel periodo: Quelli interni a Cariverona ed anche quelli della Stampa, sia locale che nazionale. Secondo unanime pensiero si stava concretizzando un’opportunità di eccellenza che avrebbe portato grandi benefici per tutti. La fusione si concretizzò e sappiamo tutti com’è andata a finire. Sono certo che qualsiasi sondaggio di “customer satisfaction” non lascerebbe scampo alcuno a chi avesse il coraggio di sostenere che fu un’operazione positiva.
    Oggi, immemori di quel disastroso “fallimento” si reitera l’insano progetto usando, si badi bene, le solite lusinghe senza il minimo pudore. Nessuno che abbia il coraggio di citare un solo vantaggio scaturito dalle fusioni avvenute. Come si dice… C’E’ DEL MARCIO IN DANIMARCA !

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