A Porta Vescovo cerimonia per la festa della liberazione

 
 

Nel 1943 i binari dei treni sono stati il teatro della più grande operazione di rastrellamento di esseri umani. Milioni di ebrei, così come tutti gli altri deportati, vennero trasportati nei campi di concentramento in condizioni disumane all’interno di carri merci, un viaggio estenuante fino a diciotto giorni senza acqua e cibo. Per la maggior parte purtroppo senza ritorno.

Per questo motivo Verona ha oggi celebrato il 79° anniversario della Festa della Liberazione al Monumento Officine Manutenzione Locomotive alla stazione di Porta Vescovo. Una cerimonia promossa da Rappresentanza Sindacale Unitaria RSU e dalla Commissione Biblioteca dello Stabilimento Trenitalia di Verona che ha visto sfilare un corteo dalla portineria dell’Officina di Porta Vescovo fino al monumento dove si è celebrata la cerimonia con la presenza del Sindaco, dell’assessore alla memoria e il Presidente del Consiglio Comunale.

“È un onore iniziare da questo luogo indossando il tricolore, in rappresentanza della mia città che è medaglia d’oro al valore militare. Da oggi diamo il via ai tanti eventi che ricordano un momento storico del nostro paese. Ricorderemo per sempre quanto è accaduto nelle Officine veronesi, ricorderemo quella resistenza messa in campo nella quotidianità e quel marcare la differenza ogni giorno, rischiando la vita per dei valori dei quali  beneficiamo. Oggi c’è ancora paura a chiamare l’antifascismo con il suo nome. Celebrare oggi la resistenza, e portare simboli come il tricolore, è una grande responsabilità collettiva. L’esempio di chi ha sacrificato la propria vita ci dà la forza di rappresentare valori che ricordiamo con fierezza. Essere figli della Resistenza, dell’antifascismo, di una Repubblica nata su valori forti e essere dalla parte giusta è un orgoglio che va ritrovato. È un impegno che dobbiamo prendere soprattutto nei confronti dei giovani, per il loro presente e futuro, affinché sappiano che questi sono i principi fondanti della nostra comunità”.

Alla cermonia erano inoltre presenti il capo impianto dell’Officina Manutenzione Ciclica OMC Verona Porta Vescovo Gaetano Compagnone, lo storico della Shoah e rappresentante dell’ Istituto Veronese Resistenza ed Età Contemporanea Carlo Saletti, don Vincenzo Zambello, il presidente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Verona Andrea Castagna, il Coro “Voci della Ferrata” con il maestro Raffaello Benedetti rappresentanti di Ivres Associazione veronese di documentazione, studio e ricerca, Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra Aned, Alpini, pensionati dell’Officina Grandi Riparazioni, ex combattenti, Protezione Civile, Dopolavoro ferroviario, Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti ANPPIA e i donatori sangue ferrovieri.  

“L’impegno che noi associazioni manteniamo costante è quello della Memoria, accompagnata da una rigorosa ricerca storica di ciò che è successo nel nostro Paese – ha sottolineato il presidente provinciale Anpi Andrea Castagna -. Non è soltanto un aspetto rituale, ma il compito di mantenerlo nella vita democratica, perché è da episodi come quello che ricordiamo che è nata la libertà che conosciamo. Mantenere questo filo che unisce la Resistenza, la guerra di liberazione a quello che oggi abbiamo è un fattore importante, anche di fronte a quanto sta succedendo nel mondo, nelle guerre, nei conflitti, nelle forme in cui i popoli sono privi della loro libertà, un elemento fortemente collegato alla resitenza. I sedimenti del nostro Paese sono molto profondi, quindi il rischio del ritorno del fascismo non c’è. Piuttosto c’è il rischio di introdurre qualcos’altro modificando la storia, modificando alcune norme o la Costituzione. Tutti elementi che potrebbero rendere difficile l’applicazione della Costituzione stessa”.

Lo storico Carlo Saletti è intervenuto ricordando quelle che furono le “Ferrovie del terrore”.

“Per rimanere in tema di ferrovie è importante ragionare sugli ingranaggi che hanno reso possibile quello che chiamiamo sterminio degli ebrei d’Europa. Le cifre sono altissime, ma quello che c’è dietro è il grande dolore. Ottomila deportati per motivi razziali, venticinquemila per motivi politici, basti pensare agli scioperi del ’44 e tutto quel tessuto di resistenza quotidiana che poteva essere nel sabotaggio sul lavoro, per quanto potrebbe riguardare la categoria dei ferrovieri, e circa seicentocinquantamila internati. Numeri vasti che sono possibili perché in Europa c’è una rete ferroviaria vasta ed imponente. Nel 1939 era di centomila chilometri, di cui quarantaduemila nel paese più evoluto, cioè la Germania. Si dovrebbe ragionare sul rapporto barbarie, cultura e tecnologia, perché la Germania è forse il paese con maggior tasso di cultura al mondo, che produce la barbarie con la quale, molto probabilmente, in determinate fasi storiche ha dei legami insidiosi. In Germania c’erano 12.500 grosse locomotive in grado di trasportare fino a cinquanta vagoni merci ognuna. I tedeschi avevano la tecnologia e la logistica per poter concepire la più grande operazione di rastrellamento di esseri umani in Europa. Tutto questo è reso possibile dalla modernizzazione. Il treno è il simbolo della modernizzazione, e non è un caso che uno dei cliché che passano a tutti i livelli riguardo alla deportazione è il vagone ferroviario, e non c’è memoriale nel mondo in cui non ce ne sia uno”.

 
 

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