Referendum, il giorno dopo

 
 

di Lorenzo Dalai

L’affluenza al 32%, tenendo conto anche del voto all’estero che influisce sul dato finale, è senz’altro una sconfitta dei comitati per il “Sì” e, sicuramente, anche se nella conferenza stampa Renzi ha voluto evitare i toni trionfalistici, intestando la vittoria ai lavoratori delle piattaforme, un successo del premier. Dando come indicazione l’astensione, tra le proteste di una parte della minoranza interna, il Presidente del Consiglio si è senz’altro preso qualche rischio. Infatti alla vigilia del voto c’era più di una preoccupazione a Palazzo Chigi, dal momento che i sondaggisti, con lievi differenze tra i vari istituti, davano la possibilità che il quorum potesse essere raggiunto.

Però l’astrusità del quesito, le contraddizioni dei proponenti, che da una parte sottolineavano la scarsa quantità degli idrocarburi che venivano estratti, dall’altra paventavano rischi apocalittici, l’eterogeneità dello schieramento a sostegno del Sì, hanno minato in modo irreparabile le certezze di Emiliano e soci. Per quanto i politici tentino sempre di sfruttarne le paure, il corpo elettorale ha una sua pachidermica saggezza, e si muove solo per cause che ne valgano la pena. Così, a sorpresa, cinque anni fa rivitalizzò lo strumento referendario raggiungendo il quorum in difesa dell’acqua pubblica, ma prima vi era stata una grande mobilitazione per la raccolta delle firme, un’accurata opera di sensibilizzazione, il coinvolgimento di un’area politica omogenea. Stavolta invece la materia delle trivellazioni in mare è apparsa ai più troppo complessa tecnicamente e forse troppo pericolosa economicamente per un Paese, che ha fame di energia.

Doveroso è anche aggiungere che le regioni proponenti avevano già ottenuto buona parte della loro richieste, spingendo il Governo ad accettarle per via legislativa, e che era rimasto sulla scheda solo un quesito di minor portata e valore. Il che, se da un lato conferma l’esistenza di una forte e molto emozionale sensibilità ambientalista nel Paese, dall’altro lato rendeva ancora meno importante e convincente la battaglia referendaria residua. Nel contempo il tentativo di politicizzare il referendum, e di trasformarlo nel debutto di una alleanza contro Renzi di tutte le opposizioni, esterne e interne, da Emiliano a Salvini, da Brunetta a Di Maio, non ha funzionato; il conto finale è chiaro: l’operazione spallata al governo è totalmente fallita. Nemmeno lo scandalo lucano, che non aveva a che vedere con il tema in questione, ma che strumentalmente è stato utilizzato per dissertare su petrolio e mare, ha inciso più di tanto.

Così il Premier ha incassato un altro successo e si avvia ad affrontare ad ottobre un’altra prova politicamente molto diversa da quella sulle “trivelle”. Ma alcune indicazioni del voto di ieri dovranno essere attentamente considerate dal premier, perché si può ragionevolmente supporre che tra chi ha votato si annidi un nocciolo duro, numericamente tutt’altro che disprezzabile, di opposizione al governo. Ma se stavolta Renzi ha potuto agevolmente scavalcarlo facendo leva sulla “maggioranza silenziosa” di chi non è andato a votare, a ottobre, quando non sarà richiesto il quorum, dovrà invece mobilitare quella maggioranza e motivarla, portarla alle urne, se vorrà vincere. Un’affluenza bassa sarebbe propedeutica per un successo dei No, perché a votare ci vanno sempre i più motivati e una parte dei nemici del Premier sul tema delle “trivelle” ha fatto le prove per verificare gli spazi di manovra da utilizzare ad ottobre.

Sicuramente l’abrogazione del Senato elettivo ed il ridimensionamento dei poteri delle Regioni può risultare più popolare che bloccare le estrazioni di combustibili in alto mare. Nel frattempo, lo si percepisce da quanto trapelato negli ultimi giorni, Matteo Renzi giocherà, come ha già fatto prima di un voto importante, un asso fiscale, proprio come fece alle Europee del 2014.

 
 

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