Riforma Fiscale del Terzo Settore: un nuovo inizio per il no profit italiano. La Commissione Europea ha dato il via libera alle norme fiscali in favore del Terzo Settore. Questo risultato rappresenta una svolta decisiva che permette finalmente di dare certezze e stabilità agli ETS e piena attuazione al Codice del Terzo Settore. Ma cosa cambierà dal 1° gennaio 2026?
Lo scorso 7 marzo, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali in un comunicato stampa ha diffuso la notizia di aver ricevuto il tanto atteso parere europeo (sotto forma di comfort letter) sulle nuove norme fiscali dedicate agli Enti del Terzo Settore (Ets) nel Codice e specificamente alle imprese sociali nel decreto 112/2017.
La riforma fiscale del Terzo settore rappresenta un passo significativo verso il riconoscimento del ruolo cruciale di queste organizzazioni nella società. L’obiettivo principale è quello di definire una nuova fiscalità che valorizzi il Terzo settore come portatore di interessi collettivi, in linea con il principio di sussidiarietà sancito dalla Costituzione. A differenza delle imprese profit, le regole fiscali per il non profit devono tenere conto della loro specificità, evitando l’applicazione forzata delle normative destinate al mercato.
La Commissione europea ha confermato questa necessità, sottolineando che gli enti del Terzo settore non possono disporre liberamente dei proventi generati, diversamente da quanto accade nel profit, poiché sono obbligati a reinvestirli in attività di interesse generale. Questo porta a una richiesta di defiscalizzazione degli utili e a misure specifiche per le imprese sociali, che potranno beneficiare di un regime fiscale disegnato su misura per le loro caratteristiche. Questo non solo rafforza il ruolo del Terzo Settore, ma è anche un chiaro riconoscimento dell’inestimabile valore del lavoro di questi enti che animano il mondo della solidarietà sociale in Italia.
A partire dal 1° gennaio 2026, entreranno in vigore nuove regole fiscali che stabiliranno criteri chiari per distinguere tra attività commerciali e non commerciali e soprattutto quando un ente nel suo insieme assume natura commerciale o meno. Gli enti che svolgono attività di interesse generale senza scopo di lucro, anche se generano un utile limitato, non saranno soggetti a imposizione diretta. Questo permetterà loro di continuare a qualificarsi come enti non commerciali, accedendo a misure fiscali favorevoli. Tra le altre cose, sarà introdotta la defiscalizzazione degli utili destinati allo svolgimento dell’attività statutaria o all’incremento del patrimonio. Inoltre saranno introdotti specifici incentivi per gli investitori, ampliando le opportunità di finanziamento per gli Enti del Terzo Settore. Tra le novità più significative ricordo l’introduzione di nuovi strumenti di finanza sociale, come i titoli di solidarietà, che garantiranno agli investitori il medesimo trattamento fiscale riservato ai titoli di Stato, con l’applicazione dell’aliquota del 12,5%.
Postulando la Riforma, quello che probabilmente si realizzerà, sarà il riconoscimento di un vero e proprio “diritto tributario del Terzo settore” in quanto, come osservato dalla Commissione « … le imposte si pagano sul reddito “posseduto”, fattispecie che si realizza quando il contribuente può disporre liberamente della ricchezza prodotta. Nel caso degli enti del Terzo settore, invece, non vi è il “possesso” del reddito perché gli enti non possono disporre degli utili prodotti ma devono investire obbligatoriamente negli interessi collettivi».
“Cesseranno le regole generali previste dal Testo unico delle imposte sui redditi, fino ad oggi applicate anche dagli Enti del Terzo Settore, e troveranno spazio i criteri dettati dal Codice del Terzo settore. In sostanza se un ente svolge attività di interesse generale dietro corrispettivo, anche realizzando un utile non superiore al 6% annuo , non scatterà nessuna forma di imposizione diretta in quanto l’attività resta non commerciale. Dunque per le realtà del Terzo settore che realizzano anche un avanzo di gestione ci sarà la possibilità di continuare a qualificarsi come ente non commerciale con conseguente accesso anche ad altre misure fiscali di favore dedicate a questa tipologia di enti. In altre parole, la nuova fiscalità del Terzo settore consentirà agli enti iscritti al Registro unico (Runts) una gestione delle proprie attività più equilibrata e sostenibile, innanzitutto perché si applicheranno criteri più semplici e chiari rispetto a quelli previsti per gli enti non commerciali in generale, ma soprattutto perché sarà consentito alle organizzazioni di ritrarre dalle loro attività un margine di guadagno che, seppur limitato nell’importo e nel tempo, sarà senz’altro d’aiuto per portare avanti i propri progetti di interesse sociale. Infine, particolare rilevanza assumeranno anche i due regimi forfettari di tassazione previsti agli articoli 80 e 86 del Codice del Terzo settore. Quest’ultimo, in particolare, riserverà ad Associazioni di promozione sociale (Aps) e Organizzazioni di volontariato (Odv) con entrate inferiori a 130mila euro la possibilità di godere di una misura di favore sia ai fini Iva che delle imposte dirette. Un regime, quest’ultimo, che dal 1 gennaio sostituirà per tutti gli Enti del Terzo Settore di natura associativa il regime fiscale di vantaggio previsto dalla L. 398 del 1991 “. (fonte Vita.it, Gabriele Sepio)
In conclusione, la riforma fiscale del Terzo settore non solo segna la fine di un periodo di incertezze, ma apre la strada a un futuro più sostenibile e strutturato per le organizzazioni non profit italiane. Con l’implementazione delle nuove regole, gli enti del Terzo settore avranno l’opportunità di gestire le proprie attività in modo più equilibrato, contribuendo così in modo ancora più efficace al benessere collettivo.
Alberto Speciale