Tra entrate a gamba tesa e manifestazioni di piazza vince il paradosso

 
 

Il caso montato nelle ultime ore sull’enciclica contro i gender del Vescovo e relativo piccato atteggiamento del ribelle don Marco Campedelli ha del paradossale.

Il vulnus del presunto licenziamento, poi smentito dalla Diocesi, di sicuro voluto da Zenti (“Chi insegna religione deve essere in comunione con il suo vescovo: se non lo è, non può insegnare. Per lui prego molto, perché voglio che sia un bravo prete”) ha creato un tam tam mediatico irriverente per il corpo ecclesiastico, messo alla berlina nella manifestazione di ieri in Piazza dei Signori da parte dei 600 manifestanti.

Stucchevole che la società civile entri a gamba tesa in ambiti che necessitano letture diverse dalla spinta affettiva dello studente nei confronti del professore. Stucchevole perché la leggerezza Don Marco l’ha commessa non tanto nell’essere in disaccordo col vescovo ma per la modalità di espressione urbi et orbi, mancando di rispetto al suo superiore.

L’errore, impulsivo o studiato che sia stato – nei giorni precedenti al voto la religione, nelle figure del Vescovo e di Don Campedelli, ha palesemente tentato di indirizzare le coscienze dei fedeli -, ha determinato una frattura molto grave nei confronti del suo “capo”, che in ossequio a quanto espresso in ogni contratto lavorativo dove è vietata l’insubordinazione (intesa come mancanza grave nei confronti del rispetto e dei doveri cui sono tenuti gli inferiori nell’ambito della gerarchia), l’ha sostanzialmente silurato. Una decisione certamente forte ma francamente corretta. Avesse don Campedelli dissentito senza casse di risonanza, del suo caso non se ne sarebbe scritto alcunché.

M.C.

 
 

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