Nuove abitudini di consumo per incentivare la produzione di bio-plastiche dai rifiuti organici

 
 

Il consumatore, per incentivare un modello di economia circolare, sarebbe favorevole all’acquisto di prodotti biologici derivanti da rifiuti alimentari? Questa la domanda che il team della ricerca “Circular economy: consumer attitudes to products made from urban bio-waste” si è posto. Lo studio, coordinato da Ivan Russo e Ilenia Confente, del dipartimento di Economia aziendale, diretto da Federico Brunetti, insieme all’università di Bologna e all’university of Applied sciences upper in Austria, è stato pubblicato sulla rivista della Commissione Europea “Science for Environment Policy”. Il progetto, finanziato con fondi europei, è nato sulla base di una collaborazione con i colleghi del dipartimento di Biotecnologie dell’università di Verona, coordinati da David Bolzonella, docente di dipartimento diretto da Paola Dominici.

Base della ricerca è stato un esperimento online su consumatori britannici, il cui intento era volto a comprendere la percezione dei prodotti derivanti da bio-plastica e l’intenzione di acquisto. La ricerca è stata, inoltre, inviata a 22,000 policymakers, accademici e managers in Europa per supportare lo sviluppo di politiche basate su evidenze sperimentali.

Il risultato raggiunto fa parte del progetto di ricerca europeo Res urbis (REsources from URban Bio-Waste), un programma di ricerca e innovazione finalizzato a sviluppare una filiera innovativa per la valorizzazione integrata dei diversi scarti organici di origine urbana, come i rifiuti municipali, il rifiuto organico, e contribuire al piano di riduzione avanzato dalla Comunità Europea nel settore della bio-plastica e dell’economia circolare.

“Premessa della ricerca – spiega Russo – è stata la concentrazione di rifiuti organici nella produzione annuale di 300 milioni di tonnellate di spreco alimentare, con particolare concentrazione nelle città metropolitane a più alta densità urbana. Si tratta, per esempio, di circa 107 kg pro-capite per l’Italia di rifiuti organici recuperati che provengono da rifiuti e scarti alimentari solidi (ad esempio provenienti da abitazioni private, ristoranti, aziende di catering, punti vendita al dettaglio, ecc.). L’ambizione del progetto Res Urbis dal quale poi deriva la ricerca pubblicata, è risultata quella di poter processare e trasformare in bio-plastica biodegradabile il rifiuto organico alimentare, quindi dallo spreco, al recupero, trasformazione e produzione di un nuovo prodotto biodegradabile”.

L’intento dei ricercatori era chiedersi se fosse possibile far diventare lo scarto e spreco alimentare il nuovo petrolio di domani per produrre prodotti in bioplastica. La possibilità di sostituire gli attuali prodotti a base fossile, come i prodotti in plastica, in prodotti in bioplastica derivanti dal scarto alimentare e organico sarebbe estremamente coerente con il recente progetto della Commissione Europea, la cosiddetta “European plastic strategy”, che definisce dettagliatamente il percorso lungo cui muoversi per individuare delle soluzioni a questo urgente tema. “I possibili benefici sarebbero molto rilevanti per la sostenibilità ambientale – prosegue Russo – dato che oggi sono circa 350 milioni le tonnellate di plastica prodotte nel mondo e purtroppo, tale produzione su larga scala e il relativo smaltimento dei materiali plastici non sono a somma zero per l’ambiente in cui viviamo. Utilizzare i rifiuti organici per produrre plastica ecocompatibile certamente aiuterebbe a minimizzare i noti problemi legati in particolare al fine vita dove, per esempio, in Europa solamente il 14% circa di questi materiali, a fine vita, è raccolto separatamente e riciclato in qualche forma mentre il resto viene disperso, smaltito in discarica o incenerito, generando ulteriori emissioni di CO2”.

Al fine di rendere utili i risultati della ricerca è risultato indispensabile verificare se i clienti finali fossero effettivamente disponibili ad acquistare prodotti derivanti dal recupero e trasformazione dello spreco di cibo in bioplastiche oppure li percepissero disgustosi, pericolosi o poco affidabili.

“I risultati emersi – conclude Russo – sono estremamente incoraggianti nell’intenzione di cambiare abitudini di consumo da parte dei consumatori verso prodotti derivanti da rifiuto organico. Alcuni segmenti, in particolare i senior attenti all’ambiente, si sono dimostrati particolarmente disponibili verso questi nuovi prodotti; è stata anche verificata la disponibilità a corrispondere un premium price per l’acquisto di questa tipologia di prodotti derivanti da rifiuto organico. Data la buona predisposizione del consumatore finale all’acquisto di prodotti in bio-plastica è necessario attivare dei modelli organizzativi e di supply chain di tipo circolare (closed loop supply chain) dove lo spreco (in questo caso, il rifiuto organico) diventa la materia prima per dare vita a nuovi prodotti e riducendo l’utilizzo di materie prime a base fossile. Queste evidenze sono di buon auspicio per imprese e policy maker per proseguire verso un percorso di innovazione dei modelli di business”.

 
 

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