Lotta alla sistematicità della violenza. Lettera aperta è grido di dolore

 
 

LETTERA APERTA Alla Verona che vorrei

Nella Verona che vorrei, sindaco, vescovo e questore chiedono di incontrare le persone migranti e senza dimora che sono al centro delle inchieste di questi giorni e, seppur senza colpa, chiedono loro scusa; perché la città è rimasta scossa da quel che ha letto sui giornali e vorrebbe stare accanto alle vittime, e chi meglio di chi rappresenta le istituzioni laiche e religiose può esprimere questo sentire?

Nella Verona che vorrei, oltre a dire che la magistratura farà il suo corso, si afferma netta la condanna nei confronti di quel che è accaduto, non solo oggi, non solo a Verona. Si sottolinea quanto, oramai è evidente, non solo occorra quel reato di tortura, che la mattanza della Diaz e gli avvenimenti di Bolzaneto avevano reso voragine normativa evidente, ma come vi sia necessità di codici identificativi e bodycam. Perché la dignità e l’onestà di chi lavora non sia più messa in discussione.

Nella Verona che vorrei, non è il numero delle persone picchiate, umiliate, derise ad avere importanza, perché anche se non fossero sette ma una persona sola, la gravità di quel che è accaduto dentro e fuori la Questura di Verona non cambierebbe, perché ormai è evidente che vi è un odio razziale, una sistematicità alla violenza, una cultura della prevaricazione.

Nella Verona che vorrei, chiuse le indagini, il Comune di Verona si costituisce parte civile nel processo, perché quel che è accaduto ha colpito ciascuna e ciascuno di noi, che questa città la abitiamo; ha leso quella dignità che riteniamo fondativa dell’umanità tutta… la nostra di cittadine e cittadini.

Nella Verona che vorrei so di non essere sola a voler questa città, per questo metto per iscritto il mio sentire che credo condiviso.

Jessica Cugini

 
 

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