La crisi, la sobrietà e il Futuro

 
 

di Lorenzo Dalai

Proprio in questi giorni si discute della accettazione della Legge di Stabilità presso la UE, dei conti pubblici da risistemare per trovare nelle pieghe del moloch-bilancio un po’ di ulteriori risorse per abbassare le tasse e così rilanciare la nostra economia, per tentare di consolidare la gracile ripresa economica, che finalmente stiamo attraversando. Nel contempo i ripetuti scandali che coinvolgono amministratori pubblici amplificano la distanza dei cittadini dalla politica.

Si scoprono abusi terrificanti dove l’utilizzo del denaro pubblico a fini personali sembra essere una consuetudine consolidata. Insomma, nonostante i tanti proclami, la classe politica italiana non sembra avere ancora recepito che non si possono chiedere sacrifici pesantissimi a chi già pagava, e molto, e nel contempo continuare a conservare privilegi da “ancien regime” o addirittura rubare.

Abbiamo visto anche che spesso chi sventolava la bandiera della diversità, chi si proclamava onesto in contrapposizione agli altri, tale non è, anzi….

 

In questo quadro si inseriscono i dati statistici che evidenziano un impoverimento delle famiglie, con il potere d’acquisto che è andato via via calando, una disoccupazione ai massimi livelli, soprattutto non c’è una speranza di trovare lavoro per una parte consistente delle giovani generazioni. Nel frattempo si stanno avviando a conclusione i periodi di Cassa Integrazione, ordinaria, straordinaria, in deroga, per i dipendenti di tante aziende in crisi; cessato l’intervento degli ammortizzatori sociali questi lavoratori resteranno disoccupati e si aggiungeranno a quanti il lavoro già l’hanno perso, o non l’hanno mai avuto.

Anche settori che anni fa erano considerati immuni da possibili problemi occupazionali, le banche ad esempio, vedono con sempre più frequenza piani industriali dove si prevedono riduzioni di personale, chiusura di sportelli, razionalizzazioni.

 

Una situazione nella quale si inseriscono due problemi spaventosi che sono la fuga dai paesi in guerra e il terrorismo. Le risposte dei populisti sono sempre semplici: chiusura delle frontiere, come se questo bastasse a fermare le ondate di profughi, e una repressione dura e indiscriminata. Con il rischio di perseguitare persone oneste, che lavorano, ma che hanno il torto di provenire proprio da quei luoghi designati come culla dei terroristi. Senza andare a verificare che quasi tutti i protagonisti dei recenti sanguinosi fatti sono, o erano, cittadini francesi e belgi…

Se vogliamo guardare al futuro, dobbiamo cominciare a fare i conti con il fatto che ci si trova all’interno di una profonda crisi di rappresentanza, che interessa la politica, i sindacati, le associazioni delle imprese, il Terzo Settore; tutto pervade. Perché se è vero che sempre più i cittadini non vanno a votare, è anche vero che la maggior parte dei lavoratori non è iscritta a alcun sindacato, ci sono imprenditori insofferenti nei riguardi delle loro organizzazioni, le fila delle associazioni di volontariato si assottigliano, la grande ondata partecipativa degli anni settanta del secolo scorso è definitivamente sepolta.

Come affrontare allora tutte le problematiche sopra esposte se non con una forte volontà di Rinascimento, culturale, politico e sociale? Come superare la violenza, verbale e non solo, dei cosiddetti bulli, quando televisioni e Internet si nutrono di bullismo a tutti i livelli? L’odio per l’avversario, che sia il tifoso dell’altra squadra, che sia di altra parte politica o semplicemente che si veste diversamente, si nutre quotidianamente degli improperi e degli insulti di chi, avendo un ruolo pubblico, dovrebbe dare un esempio diverso.

Non sarà arrivato finalmente il momento di discutere seriamente dei partiti, dei sindacati, dei nostri imprenditori, delle categorie professionali, che non vogliono rinunciare ad alcuno dei privilegi accumulati negli anni? Che dire di scioperi proclamati da infinitesime sigle che bloccano i servizi pubblici? O dei dirigenti che fanno ricorso contro i tetti alle retribuzioni? Oppure ancora dei politici ormai obsoleti, che non vogliono rinunciare ai loro vitalizi?

Nella fase di dissoluzione dell’Impero Romano c’era chi anelava di tornare alla sobrietà di costumi della Repubblica, così anche oggi, per evitare di dare ragione al filosofo Giambattista Vico, che diceva che la Storia ha corsi e ricorsi perciò si ripete quasi uguale, per evitare la catastrofe del nostro modo di vita, ora come allora, occorre recuperare una modalità di confronto costruttiva, una capacità di civile convivenza oggi perduta, una volontà di Progresso, non solo tecnologico, ma culturale e umano. Spegniamo il televisore dei populisti e accendiamo il dialogo.

 
 

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