Il glifosato aumenta l’incidenza di diversi tumori, anche alle dosi considerate sicure in Unione Europea, per lo meno nei ratti. È quanto rivela uno studio multicentrico pubblicato su Environmental Health da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Ramazzini di Bologna, condotto insieme all’Istituto Superiore di Sanità e ad altri centri di ricerca internazionali, che hanno testato gli effetti dell’esposizione al controverso erbicida fin dalla vita prenatale
Gli erbicidi a base di glifosato (GBH) sono gli agenti di controllo delle erbe infestanti più utilizzati al mondo. Le preoccupazioni per la salute pubblica sono aumentate da quando l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) ha classificato il glifosato come probabile cancerogeno per l’uomo nel 2015. Per approfondire gli effetti sulla salute del glifosato e dei GBH, l’Istituto Ramazzini di Bologna ha avviato il Global Glyphosate Study (GGS), progettato per testare un’ampia gamma di effetti tossicologici. Una sfida vinta grazie alla determinazione e al talento di una squadra capitanata dalla dottoressa Fiorella Belpoggi, ricercatrice biologa e figura di spicco della Fondazione Italiana Biologi (FIB). Trentuno pagine nero su bianco che dimostrano in maniera scientifica la tossicità del glifosato, un erbicida ampiamente utilizzato e che negli anni aveva suscitato preoccupazioni riguardo alla sua possibile cancerogenicità.
Qui di seguito sono riportati i risultati della sezione sulla cancerogenicità del GGS.
Metodi. Il glifosato e due GBH, Roundup Bioflow utilizzato nell’Unione Europea (UE) e RangerPro utilizzato negli Stati Uniti, sono stati somministrati a ratti Sprague-Dawley (SD) maschi e femmine, a partire dal 6° giorno di gestazione (tramite esposizione materna) fino a 104 settimane di età. Il glifosato è stato somministrato tramite acqua potabile a tre dosi: la dose giornaliera accettabile (DGA) UE di 0,5 mg/kg di peso corporeo/giorno, 5 mg/kg di peso corporeo/giorno e la dose senza effetti avversi osservati (NOAEL) UE di 50 mg/kg di peso corporeo/giorno. Le due formulazioni di GBH sono state somministrate alle stesse dosi equivalenti di glifosato.
Risultati. In tutti e 3 i gruppi di trattamento, sono stati osservati trend di aumento statisticamente significativi, correlati alla dose, o aumenti dell’incidenza di tumori benigni e maligni in più sedi anatomiche rispetto ai controlli storici e concomitanti. Questi tumori si sono manifestati nei tessuti emolinforeticolari (leucemia), nella cute, nel fegato, nella tiroide, nel sistema nervoso, nelle ovaie, nella ghiandola mammaria, nelle ghiandole surrenali, nei reni, nella vescica urinaria, nelle ossa, nel pancreas endocrino, nell’utero e nella milza (emangiosarcoma). Un aumento dell’incidenza si è verificato in entrambi i sessi. La maggior parte di questi riguardava tumori rari nei ratti SD (incidenza di fondo < 1%), con il 40% dei decessi per leucemie nei gruppi trattati che si sono verificati prima delle 52 settimane di età e un aumento dei decessi precoci è stato osservato anche per altri tumori solidi.
Conclusioni. Il glifosato e i GBH a livelli di esposizione corrispondenti alla DGA UE e al NOAEL UE hanno causato aumenti dose-correlati nell’incidenza di tumori multipli benigni e maligni nei ratti SD di entrambi i sessi. Sono stati osservati esordio precoce e mortalità per tumori multipli. Questi risultati forniscono solide prove a supporto della conclusione dell’IARC secondo cui vi sono “sufficienti prove di cancerogenicità [del glifosato] negli animali da esperimento”. Inoltre, i nostri dati sono coerenti con le evidenze epidemiologiche sulla cancerogenicità del glifosato e dei GBH.
Sull’argomento è intervenuto anche il Consigliere regionale Andrea Zanoni il quale ha presentato una Interrogazione a risposta scritta agli assessori regionali alla sanità ed all’agricoltra chiedendo, tra le altre: “quali sono le quantità di glifosato attualmente utilizzate in Veneto, suddivise per uso agricolo e non agricolo, e se tali dati sono aggiornati e pubblicamente accessibili; se la Regione del Veneto intende contribuire a vietare o limitare l’uso del glifosato nei territori comunali; se la Regione del Veneto intende promuovere l’adozione di metodi alternativi e biologici per il controllo delle infestanti, sia in agricoltura che nella gestione del verde pubblico e se la Regione del Veneto intende aggiornare i propri strumenti normativi e pianificatori alla luce delle nuove evidenze scientifiche”.
Alberto Speciale
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