Infrazioni e sanzioni Europee: il costo pagato dagli Italiani è solo questione di cattiva politica?

 
 

Come previsto dai trattati dell’Ue, la Commissione europea può azionare procedimenti legali, aprendo una procedura d’infrazione, contro un paese dell’Ue che non attua il diritto dell’Unione europea. La Commissione può deferire il caso alla Corte di giustizia che, in alcuni casi, può imporre sanzioni pecuniarie. Le infrazioni, dal 2012 al 2019, sono costate all’Italia quasi 550 milioni di euro. Il 10% delle infrazioni a carico dell’Italia sono aperte da oltre 10 anni.

Dal giorno dell’insediamento il governo Conte ereditava “sic et sempliciter” 59 procedure di infrazione dai precedenti governi salvo raggiungere i 74 casi [1] alla data del 7 marzo 2019, di cui 64 per violazione del diritto dell’Unione e 10 per mancato recepimento di direttive. Con le dimissioni del ministro Savona la delega per le politiche europee è passata ad interim al Presidente dell’esecutivo Giuseppe Conte e considerando l’importanza della materia, oltre il riflesso economico, sarebbe di estrema urgenza nominare un nuovo ministro per le politiche europee.

Sulla banca dati EUR-Infra è possibile vedere l’elenco delle procedure aperte come anche consultare lo storico degli aggiornamenti sulla base delle decisioni assunte dalla Commissione europea nella pagina dedicata.  Ad oggi l’Italia è il sesto paese con più infrazioni pendenti. Davanti a noi abbiamo la Spagna (101), la Germania (83), il Belgio (80), la Grecia (78) e la Polonia (77).

L’articolo 117 della Costituzione italiana sancisce che la potestà legislativa esercitata dallo stato e dalle regioni non solo deve rispettare la costituzione stessa, ma anche i vincoli dell’ordinamento comunitario. Tale adempimento viene esercitato recependo le norme del diritto europeo all’interno della normativo italiana. La Commissione europea ha la responsabilità di garantire che tutti gli stati membri applichino correttamente il diritto dell’Ue.

La Commissione europea può quindi intervenire, avviando una formale procedura  di infrazione, per tre diversi motivi:

  • mancata comunicazione: quando lo stato membro non comunica in tempo alla Commissione le misure scelte per implementare la direttiva;
  • mancata applicazione: quando la Commissione europea valuta la legislazione dello stato membro non in linea con le indicazioni della legislazione europea;
  • sbagliata applicazione: quando la legge europea non viene applicata, o è applicata incorrettamente, dallo stato membro;

Il processo che porta all’apertura di una procedura di infrazione può iniziare in diversi modi. Oltre alle indagini interne portate avanti dalla commissione, cittadini, aziende, e organizzazioni non governative possono denunciare, inoltrando un reclamo, il non rispetto del diritto europeo da parte di una nazione.

La procedura d’infrazione costituisce uno strumento indispensabile per garantire il rispetto e l’effettività del diritto dell’Unione. La decisione relativa al suo avvio è una competenza esclusiva della Commissione, la quale, esercitando un potere discrezionale, può agire su denuncia di privati, sulla base di un’interrogazione parlamentare o di propria iniziativa.

Quando rileva la violazione di una norma europea, la Commissione europea procede all’invio di una “lettera di messa in mora”, concedendo allo Stato un termine di due mesi entro il quale presentare le proprie osservazioni.

La procedura d’infrazione è avviata nei confronti di uno Stato membro in quanto tale, senza che rilevi se l’autore della violazione sia un organo costituzionale, una giurisdizione, un ente territoriale o un soggetto di diritto privato controllato dallo Stato. Qualora lo Stato membro non risponda alla lettera di messa in mora nel termine indicato oppure fornisca alla Commissione risposte non soddisfacenti, quest’ultima può emettere un parere motivato con il quale cristallizza in fatto e in diritto l’inadempimento contestato e diffida lo Stato a porvi fine entro un dato termine.

Nel caso in cui lo Stato membro non si adegui al parere motivato, la Commissione può presentare ricorso per inadempimento davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee contro lo Stato in questione.

Si conclude così la fase del cd. “precontenzioso” ed inizia il giudizio, il quale è diretto ad ottenere dalla Corte l’accertamento formale, mediante sentenza, dell’inosservanza da parte dello Stato di uno degli obblighi imposti dall’Unione.

Se la Corte di Giustizia accerta che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù del Trattato, questo è tenuto a prendere i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza comporta, ponendo fine all’infrazione.

Se la Commissione ritiene che lo Stato non si sia conformato alla sentenza della Corte, essa avvia una procedura ex art. 260 del Trattato. In questa fase ciò che viene contestato allo Stato è un inadempimento ulteriore e autonomo, consistente nella mancata adozione dei provvedimenti necessari all’esecuzione della sentenza che ha accertato la violazione del diritto dell’Unione (es. modifica, abrogazione o introduzione di una disposizione normativa; recepimento di una direttiva; mutamento di una prassi amministrativa).

Le sanzioni consistono in una somma forfetaria e in una penalità di mora, adeguate alla gravità e alla persistenza dell’inadempimento. Le cifre indicate dalla Commissione per l’Italia ammontano a minimo 8,916 mln di euro per la somma forfetaria e oscillano da 10.753,5 a 645.210,00 di euro al giorno per la penalità di mora. [2]

Nella sentenza del 12 luglio 2005 (causa C-304/02, Commissione c. Francia), la Corte di Giustizia ha chiarito che la somma forfetaria e la penalità di mora possono essere inflitte cumulativamente qualora la violazione del diritto dell’Unione sia particolarmente grave e persistente.

Tra le importanti modifica introdotte dal Trattato di Lisbona segnaliamo quella che riguarda le sanzioni pecuniarie nei casi di mancato recepimento delle direttive europee. Nel caso in cui uno Stato membro abbia disatteso l’obbligo di comunicare alla Commissione le misure adottate al fine di recepire una direttiva, quest’ultima può chiedere alla Corte, nell’ambito dello stesso ricorso per inadempimento, di comminare il pagamento di una sanzione pecuniaria. In sostanza, con la nuova procedura di cui all’art. 260, la Commissione può richiedere alla Corte sia di accertare l’avvenuto inadempimento dell’obbligo, sia di condannare lo Stato inadempiente al pagamento della sanzione pecuniaria, senza dover attendere l’esaurimento di un’ulteriore fase precontenziosa.

Le decisioni relative all’apertura, all’aggravamento o alla chiusura di una procedura di infrazione sono adottate dal Collegio dei Commissari europei, in apposite sessioni che hanno luogo a cadenza mensile. Il Collegio dei Commissari adotta una decisione di archiviazione quando lo Stato membro si conforma ai rilievi della Commissione europea o quando quest’ultima si ritiene soddisfatta dalle osservazioni dello Stato in questione.

Per quanto riguarda le tematiche, i valori dell’Italia seguono in linea generale quelli del resto dei paesi dell’unione. L’ambito maggiormente sollecitato dalle infrazioni (alla data del 7 marzo 2019) è l’ambiente (22,97% 17 casi su 74) seguito a distanza dalle questioni collegate alla Fiscalità e dogane (14,86%, 11 casi) e quelle che riguardano i trasporti (0,08%, 6 casi). [3]

La cattiva gestione delle procedure d’infrazione da parte della politica italiana ha un
costo sia in termini di d’immagine sia economico. Alcune delle procedure d’infrazione  ancora aperte meritano un’attenzione particolare analizzando da quanto tempo (numero di giorni trascorsi dall’invio della lettera per la messa in morale) le 73 infrazioni (dato al 28 febbraio 2019) sono avviate e quale costo abbiano avuto in termini economico-finanziari i contenziosi aperti da anni, e che sono persino arrivati all’ultimo atto dell’iter, cioè ad una sentenza della corte europea di giustizia (art. 160 TFUE).

Per 1/3 dei casi l’invio risale a più di 5 anni fa, elemento non da poco se si considera persino che alcune infrazioni (poco meno del 10%) sono state aperte addirittura più di 10 anni fa. Dato rilevante da considerare è che il 32,39% delle infrazioni siano state avviate nell’ultimo anno (in particolare per 7 contenziosi, l’invio è avvenuto nel 2019).

(Tabella fonte Openpolis)

Fino ad oggi l’Italia ha dovuto pagare sanzioni per 5 diverse infrazioni, tutte quindi giunte ad una sentenza della corte europea di giustizia sotto l’art. 260 del TFUE.
Come certificato dalla “Relazione annuale 2018 – I rapporti finanziari con l’Unione europea e l’utilizzazione dei fondi comunitari” pubblicato dalla Corte dei Conti a inizio 2019, l’Italia ha dovuto pagare dal 2012 ad oggi quasi 550 milioni di euro.

La prima sentenza, per le 5 infrazioni, in ordine di tempo contro l’Italia riguarda gli aiuti concessi per interventi a favore dell’occupazione risalente al 2007. Nel 2011 è arrivata la condannata della corte di giustizia, al pagamento di sanzioni pecuniarie per il mancato recupero integrale degli aiuti contestati. Alla prima rata del 2012 di 30 milioni di euro, ne sono seguite altre nel 2013 e nel 2018, che hanno portato il costo totale della procedura per il nostro paese ad oltre 76 milioni di euro.

La seconda è arrivata nel 2014, e riguarda la nota questione delle 200 discariche abusive sul territorio nazionale. L’infrazione in questione è stata aperta contro il nostro paese ben 15 anni fa, nel 2003. Dal 2015 in poi l’Italia ha iniziato a pagare in media circa 50 milioni di euro all’anno, per un totale che ad oggi ammonta a 204 milioni. L’importo in assoluto più costoso versato dall’Italia per una infrazione. Ad oggi sono ancora 55 le discariche da regolarizzare.

La terza riguarda il contenzioso delle ecoballe in Campania, infrazione che negli anni è costata allo stato italiano oltre 150 milioni di euro.

La quarta procedura d’infrazione è stata il mancato recupero degli aiuti concessi a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia con la Legge 30/1997 e L. 205/1995. Il contenzioso risale al 2012, e ad oggi è costata al nostro paese 90 milioni di euro.

L’ultima seconda condanna contro l’Italia risale al maggio 2018. La procedura fu avviata nel 2004, e vedeva il nostro paese inadempiente a diversi obblighi di cui alla direttiva 91/271/Ce sul trattamento delle acque reflue. Inadempienze che sono perdurate nel tempo, e che hanno costretto la commissione a fare ricorso alle corte Ue ai sensi dell’articolo 260 del TFUE. Con la sentenza del maggio 2018, la Corte ha condannato l’Italia ad un prima pena nell’anno appena trascorso di 25 milioni di euro.

L’anno 2018 è stato il più dispendioso per l’Italia. Le penalità in totale sono costate €148,73 milioni, 31 milioni di euro in più rispetto al 2017.

Con le dimissioni del ministro Savona la delega per le politiche europee è passata ad interim al Presidente dell’esecutivo Giuseppe Conte e considerando l’importanza della materia, oltre il riflesso economico, sarebbe di estrema urgenza nominare un nuovo ministro per le politiche europee.

Pare che la colpa dei principali mali, sociali ed economici, dell’Italia sia dell’Unione europea, siamo certi che sia veramente questo il motivo?. Siamo sicuri che l’abitudine di addossare all’Unione europea la colpa dei nostri problemi ha radici on sia un alibi per coprire le carenze della nostra classe politica nazionale (maggioranza e opposizione)?

Alberto Speciale

(Fonte dati e notizie: Ministero Politiche Comunitarie, Commissione europea, Openpolis)

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 Note

[1] Messa in mora n. 30 (art. 258 TFUE) – Messa in mora complementare n. 7 (art. 258) – Parere motivato n.14 (art. 258) – Parere motivato complementare n. 1 (art. 258) – Decisione ricorso n. 3 (art. 258) – Ricorso n. 10 (art. 258) – Sentenza n. 0 (art. 258) –  Messa in mora n. 2 (art. 260) – Decisione ricorso n. 1 (art. 260) – Ricorso n. 1 (art. 260) –  Sentenza n. 5 (art. 260) – Totale 74

[2] Mentre la somma forfetaria si paga anche se si è posto rimedio nel corso del dibattimento in Corte, la penalità di mora viene applicata qualora l’infrazione persista dopo la sentenza di condanna e viene calcolata, su base giornaliera, a partire dalla data della sentenza stessa.

[3] Ambiente n. 17 – Fiscalità e dogane 11 – Trasporti 6 -Concorrenza e aiuti di Stato 5 – Appalti 4 – Energia 4 – Agricoltura 3 – Comunicazioni 3 – Lavoro e politiche sociali 3 – Libera circolazione delle merci 3 – Libera prestazione dei servizi e stabilimento 3 – Salute 3 – Affari economici e finanziari 2 – Affari esteri 2 – Affari interni 2 – Giustizia 1 – Pesca 1 – Tutela dei consumatori 1 – Totale 74

 

 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

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