Il pranzo è servito: ritratto a tre voci di una ripartenza in salita

 
 

Tavoli di nuovo pieni negli esercizi di ristorazione, ma, per usare un’espressione còlta dietro le quinte, “alle spalle abbiamo una scia di sangue”. Il bicchiere è di nuovo mezzo pieno e l’ottimismo obbligatorio, ma ciò non significa mancare di realismo.

Tre aree, tre voci: da San Zeno al centro storico, a borgo Venezia: ecco un sintetico ritratto della situazione, a stagione estiva di nuovo in moto. Ivo Spada tiene le redini dell’osteria al Maneghéto, agli Orti di Spagna, Sergio Rocca, imprenditore del mondo horeca veronese, rappresenta la Terrazza Bar al Ponte e Gian Maria Bicego la trattoria San Basilio in via Pisano: locali noti e avviati, che riflettono analoghe attività di una città vocata all’apertura e provata dalla chiusura Covid.

Aldilà di calcoli, dati, previsioni da remoto, è chi ha riaperto i battenti che ha il vero polso della situazione: quale è la risposta del pubblico?

Ivo, come per sua natura, è schietto: «C’è voglia di ripresa, ma mancano soldi; “quando ghe n’è, ghe n’è par tutti, ma quando no ghe n’è…”: a San Zeno è sempre funzionato così e adesso per i clienti i tempi sono magri. Dall’altra parte del bancone, la mia, posso dire che le aperture a singhiozzo col lockdown sono state poco utili, anzi: rientri insufficienti e spese uguali. Un disastro, soprattutto se c’era anche del personale, cosa che ora si traduce (anche) in un crollo dei prezzi dei locali».

Realisticamente, dunque, ci si lecca le ferite, ancora incapaci  – per risorse – di ricominciare: i tempi per guarire quali possono essere? «Anche quest’anno si può considerare perso e calcolo almeno due anni per una effettiva guarigione, sempre contando su un giro di turisti che riparta. Ci dicono che l’Arena è piena, ma non è così, aldilà della prima con Muti. E nemmeno il nostro lago fa numeri, la gente ha ancora timori e non si muove facilmente».

Gian Maria, come gli altri, è tornato all’opera, e, come gli altri, nel valutare la situazione, considera la sua posizione e quella della clientela: «Secondo me – sperando non si cambi in peggio con un tornare indietro – ci vorranno almeno tre o quattro mesi per rivedere una pseudo-normalità. Bisogna fare i conti con il fatto che moltissime persone non hanno potuto contare sui loro soliti stipendi e tutto ciò che ne consegue. Cosa poter fare per migliorare la situazione? Sinceramente non ho idee in proposito: è una contingenza più grande di noi».

Sergio Rocca fotografa il cuore di Verona: «Come locale del centro, con una storia di gestione decennale, dobbiamo ringraziare i nostri clienti veronesi che sono immediatamente tornati ad affollare i nostri tavoli tutte le sere. Ma la percentuale degli stranieri è indubbiamente minore: ad oggi Verona vede per le strade solo il piccolo turismo di lingua tedesca che affluisce dal lago di Garda e soltanto dalla metà di luglio, è previsto un nuovo afflusso da altri paesi europei. Ci aspettiamo un’estate simile a quella dell’anno scorso, dove forse era arrivato in città il 20%/25% del turismo del passato. USA, UK, Russia, Asia intera rimarranno ferme».

Laconico Bicego: «Percentuale stranieri prossima allo zero».

Chi più, chi meno (ma nessuno poco) ha sofferto la – peraltro inevitabile e precauzionale – chiusura: nell’euforia delle riaperture, aleggia comunque il timore per eventuali futuri lockdown? «Non credo sia ipotizzabile – risponde Sergio una terza possibile chiusura in autunno; significherebbe la sconfitta dell’intero sistema sanitario basato sui vaccini, e porterebbe al crollo dell’intero sistema horeca italiano.  Comunque sia, credo che qualsiasi imprenditore, per non farsi trovare impreparato a questa eventualità, debba mantenere, a tutti i costi, la massima liquidità in cassa. Significa procrastinare al 2021 il pagamento di qualsiasi debito contratto nel periodo Covid».

La città  – amministrazione, associazioni – ha, secondo voi, reagito con misure efficaci? Ivo Spada menziona i “plateatici per tutti”, «ma è stata una concessione con poco criterio, alcuni nuovi non sono regolari, non tengono più conto delle regole di sicurezza applicate per decenni, ad esempio l’eccessiva esposizione su strada, col rischio che una macchina o una bici finisca sotto un tavolo».

Per Rocca, «i comuni hanno subito un colpo alle loro finanze altrettanto forte. Non potevano fare nulla di più di quello che hanno fatto economicamente. Non ne avevano i mezzi».

Previsioni per un concreto rilancio del settore? «Nessuno potrà mai recuperare le perdite 2020/2021. Nessuna azienda italiana medio/piccola ha marginalità tali da poter ipotizzare di recuperare la liquidità immessa personalmente per salvare le aziende. Tantomeno il mondo horeca. Sarà già un miracolo vedere le aziende pagare nel prossimo decennio le rate dei debiti contratti. Le banche, che hanno emesso i famosi finanziamenti, si attendono il 40/45% di default su questi contratti di mutuo. Tutto il mondo della finanza bancaria si è preparato a questo contraccolpo, che lo Stato dovrà coprire in parte; per questo motivo, gli istituti bancari italiani hanno negato tantissime domande e richiesto agli imprenditori garanzie personali per emettere finanziamenti a tante aziende in difficoltà».

Cosa si può ancora fare per supportare la ripresa?

«Personalmente non vedo nessun progetto nazionale in atto a supporto della media e piccola impresa. Ripresa è ormai una parola completamente priva di significato. Gli imprenditori italiani dovranno arrangiarsi come hanno sempre fatto. L’unica cosa che potrebbe cambiare la storia del nostro paese è un progetto rivoluzionario, che dovrebbe coinvolgere il costo del lavoro, la tassazione aziendale e la previdenza sociale. Il sistema attuale, agli occhi di qualsiasi economista di valore, è un sistema che si è ormai schiantato, ma malgrado una tempesta come il Covid, oggi parlare di un cambiamento epocale appare ancora utopico».

Una visione che si ritrova nel quadro che dipinge Bicego: «La situazione al momento non decolla, è labile e incerta. Giugno all’inizio e stato buono, poi, piano piano, si è riscontrato un deflusso di presenze. A ritroso, analizzando maggio, quando è stato concesso riaprire, è meglio sorvolare… temperature gelide, piogge e quant’altro sono intervenute per “darci una mano” a non lavorare!».

Le presenze mancano un po’ per tutti e, come emerge da queste parole, un fattore ulteriormente penalizzante in questo momento è la posizione decentrata. «Noi non godiamo di una logistica diretta, essendo un po’ nascosti all’interno di un quartiere ai margini della città», afferma lo chef di San Basilio, ma questo potrebbe essere uno dei problemi minori, considerate le, tutto sommato, limitate dimensioni dell’area urbana e, dall’altra parte, le diffuse attrattive, che superano i confini del centro storico; dunque auspicabile sarebbe una condotta che porti a valorizzare Verona nel suo insieme, andando oltre l’amore e la lirica, andando oltre ricorrenze occasionali come quella dantesca e diventando normalità culturale.

Tre domande e tre risposte, per avallare ciò e sbirciare tra le pieghe della nostra città: perché gli “Orti di Spagna” si chiamano così? Orti, palesemente, in quanto in passato erano terreni agricoli, e di Spagna perché in parte coltivati ad erba spagnola, detta anche erba medica, tra le più usate come foraggio.

Cosa c’era in età romana, dove oggi corre via Ponte Pietra? L’urbanistica più antica di Verona, ovvero quella di età romana, colloca in quell’area il circo, realizzato sotto Augusto, sulla riva destra dell’Adige tra i due ponti e di fronte al Teatro Romano; di forma ellittica, ospitava giochi e, soprattutto, corse delle bighe.

Una vite di 130 anni regala ombra ancora oggi: dove? Il giardino di San Basilio nel secolo scorso risuonava dei sordi colpi delle bocce, allora osteria “alla Canna”: oggi come ieri fa da verde, fresco riparo una vite ultracentenaria di uva nera varietà bacò, utilizzata (un tempo) non tanto per il gusto, quanto per dar intenso colore al Clinto.

 
 
Sono nata a Verona sotto il segno dei Pesci; le mie radici sono in Friuli. Ho un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Sono giornalista pubblicista dell’ODG Veneto e navigo nel mondo della comunicazione da anni, tra carta, radio, tv, web, uffici stampa. Altro? Leggo, scrivo, cucino, curo l’orto, visito mostre, gioc(av)o a volley. No, non riesco a fare tutto, ma tutto mi piacerebbe fare. Corro contro il tempo, ragazza (di una volta) con la valigia.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here