Il dopo elezioni a Verona

 
 

Tanto tuonò che piovve. Non mi fa certo piacere ritornare ai mesi precedenti alla scelta dei candidati sindaco e della formazione delle liste e quindi ai pessimi risultati elettorali, ma lo ritengo necessario, quantomeno per iniziare a procedere con analisi obiettive.

Che a Verona ci fosse il reale pericolo che al ballottaggio andassero due candidati di destra, non mi si venga a raccontare che Bisinella-Tosi sono di centro, il sottoscritto, Mario Allegri, Luciano Butti e tanti altri lo temevamo e lo sostenevamo allarmati da quasi due anni.

La situazione locale, che ipotizzava la presenza di due o più liste di destra, avrebbe dovuto spingere i responsabili del PD e dei partiti di sinistra a collaborare con le realtà della cosiddetta società civile per organizzare una forte lista elettorale su base programmatica per tentare di vincere.

All’elettorato di Verona si doveva proporre un’idea di città, con un progetto ed un programma chiaro e definito; un programma come vero e proprio aggregante per persone, gruppi e partiti che ne riconoscessero e ne condividessero i principi e i contenuti. Quindi, non aggregazioni che fossero la sommatoria di tanti simboli di partito e di numeri in percentuale, ma bensì di forze organizzate e di singoli individui che ne approvavano il metodo, il progetto, l’idea.

Così non è stato. Troppi interessi ed ambizioni personali, troppi richiami all’ordine da Roma, troppi calcoli e tattiche sbagliate.

Eppure sarebbe bastato imitare il percorso che le forze politiche di centro, di centro sinistra e di sinistra hanno fatto a Padova, portando il loro candidato Sergio Giordani, un civico, apparentato al ballottaggio con il candidato di Coalizione Civica Arturo Lorenzoni, un altro civico, a battere il favoritissimo leghista e sindaco uscente Massimo Bitonci. La coalizione che appoggiava Giordani comprendeva Il PD, Area Popolare di Alfano più una parte minoritaria di Forza Italia e al ballottaggio ha avuto il sostegno del candidato di sinistra. Al primo turno Bitonci aveva ottenuto il 40,22%, Giordani il 29,25 e Lorenzoni il 22,8%. Trovato l’accordo sul programma, si sono uniti ed hanno vinto, battendo la destra.

Qui da noi non è stato possibile. Troppe incomprensioni, troppi rancori, troppe barriere; così ha vinto il partito dell’astensione con il 57,61, che la dice lunga su quanto i veronesi abbiano capito e condiviso gli inviti e le strategie dei leader politici locali ed anche nazionali. E’ questo un dato che ci obbliga a ragionare e non a liquidarlo molto semplicisticamente con il qualunquismo o con il periodo quasi vacanziero. L’astensione, così come la scheda bianca e/o l’annullamento, è stato un ben preciso messaggio politico che i cittadini hanno mandato ai partiti politici. Hanno voluto denunciare che non credono più ai tanti programmi e progetti promessi in campagna elettorale ma rimasti sempre sulla carta, che sono stanchi dell’appropriazione e della lottizzazione da parte dei partiti di ogni poltrona pubblica e delle aziende partecipate per sistemare gli amici ed i parenti e del disinteresse per la competenza in favore del clientelismo.

Inoltre questa scarsa affluenza ha evidenziato il distacco della città per l’eletto sindaco. Non si è trattato di Aventino, ma della volontà di depotenziare un futuro amministratore, togliendogli l’alibi del grande consenso popolare.

Un sindaco eletto con il 21% dei veronesi aventi diritto al voto è un sindaco dimezzato, che se per la legge rappresenta tutta la città ed i suoi abitanti, in realtà è stato voluto solo da una piccola percentuale. Lo stesso sarebbe stato se avesse vinto la Bisinella.

Incomprensibile è stato il comportamento del PD locale. Per mesi ha negato che ci fosse un accordo con Tosi, per poi divulgare un comunicato che, cito testualmente: “…Il Partito Democratico ha lavorato negli ultimi anni ed ancora durante tutta la campagna elettorale su una linea politica alternativa sia al binomio Sboarina/Fontana che Bisinella/Tosi”, ma poi aggiunge: “… Rivendica ogni estraneità ad una visione antieuropea, xenofoba, escludente, refrattaria alla spinta riformatrice del Paese, che solleva le paure anziché risolvere i problemi, interpretata da forze politiche come la Lega di Salvini, che cerca un ulteriore feudo alla Lega in Veneto…” è stato letto come un invito a votare Bisinella, poi confermato dalle prese di posizione pubbliche di molti esponenti del PD cittadino. Pochi hanno seguito il consiglio e il risultato del loro appello dimostra che il partito non ha più il polso dell’elettorato veronese, sembra quasi che il rapporto diretto con il territorio e la sua gente appartengano a lontani periodi del passato.

Di fatto, con questo comunicato ed i vari appelli, il PD è riuscito a perdere due volte nelle stesse elezioni.

Anche i partiti della sinistra ne escono con le ossa rotte. Solo l’ex capogruppo del PD, Michele Bertucco, è entrato in Consiglio comunale. Lo ritengo un fatto positivo e se ripeterà il tipo di opposizione che ha fatto a Tosi anche alla nuova giunta, sui contenuti ovviamente, la città ci potrà contare.  

Detto questo mi chiedo se una sinistra di testimonianza, che indica il PD come un avversario e che intende ricercare più gli argomenti che dividono anziché quelli che potrebbero aggregare, sia stata e sia realmente un ostacolo per le continue vittorie delle destre nella nostra città.

Sta di fatto che per contrastare efficacemente una destra populista, xenofoba e che basa il proprio successo sulle paure della popolazione è necessario che tutte le forze cosiddette progressiste non si combattano tra loro ma trovino degli spazi condivisibili su cui collaborare.

Ritengo che in Italia, come non esiste un vero partito liberale di destra, così stia scomparendo la possibilità che si formi un forte partito socialdemocratico, strutturato e radicato sul territorio, che sembrava potesse essere il PD. Pare quasi che a Renzi interessi più trasformare il partito in una sorta di comitato elettorale del segretario di turno. Si ha come l’impressione che il segretario del PD punti a creare le basi perché alle prossime elezioni PD e centrodestra possano raccogliere voti a sufficienza per permettergli di formare una larga maggioranza parlamentare.

Per paradosso, sino a quando il PD manterrà un buon 30%, a Renzi potrebbe far comodo un centrodestra moderato con un numero sufficiente di voti per governare assieme senza problemi.

La destra salviniana, i 5 Stelle e la sinistra, sarebbero poste ai margini e non inciderebbero sulle scelte del governo. E’ solo un’ipotesi, ma gli appelli a votare Bisinella e i tanti colloqui romani possono farla credere verosimile.

Giorgio Massignan (VeronaPolis)

 
 

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