Nel triennio 2022-2024 il sistema sanitario pubblico veronese ha perso 484 medici, di cui 267 dell’Ulss 9 e 217 dell’azienda ospedaliera Auoi, per una media di oltre 160 all’anno. Meno di un terzo dei medici dimissionari (156 casi, di cui 80 all’Ulss e 76 all’Aoui) ha lasciato per raggiunti limiti d’età o per pensionamento. Nella grande maggioranza dei casi si è trattato di dimissionari volontarie senza diritto alla pensione. Gli abbandoni di questo tipo sono stati 160 in Ulss 9 (pari al 60%) e 118 in Aoui (pari al 54%).
PERSONALE DI COMPARTO. Non è migliore la condizione del personale di comparto, espressione che comprende infermieri, oss, tecnici e altro personale sanitario e non sanitario: dagli elenchi ufficiali del personale consegnati dagli uffici del personale di Ulss e Aoui alle organizzazioni sindacali per consentire lo svolgimento delle elezioni delle Rsu, risulta che, rispetto alle ultime votazioni del 2022, a marzo 2025 mancano all’appello 202 unità di personale in Ulss9 e 68 unità di personale in Aoui.
DIMISSIONI NEL COMPARTO. Per quanto riguarda le motivazioni delle cessazioni tra il personale di comparto, fa fede un rapporto dell’Fp Cgil Verona del settembre 2024 che recita così: “Nell’ultimo anno e mezzo, dal 1° gennaio 2023 al 30 giugno 2024, in Ulss 9 si sono registrate 386 cessazioni di rapporti di lavoro (circa l’8% dell’organico), solo parzialmente coperte da nuove assunzioni che sono state in totale 210. Tra le cause delle interruzioni del rapporto di lavoro spiccano le dimissioni volontarie (172), più numerose persino dei pensionamenti (169). Seguono, a grande distanza, la mobilità in uscita (16 cessazioni), il fine incarico di contratti a termine (16) e altre cause come decesso, dispensa, ecc. Le dimissioni volontarie coinvolgono dunque circa il 4% dell’organico, composto da circa 4.400 lavoratori e lavoratrici, e sono all’origine del 43% delle cessazioni tra gli infermieri. Sono inoltre la prima causa di licenziamento tra assistenti sanitari, assistenti sociali, dietisti, fisioterapisti, ostetriche, neurfisiopatologisti, tecnici di laboratorio, tecnici di radiologia, tecnici della prevenzione, tecnici di riabilitazione psichiatrica, terapisti occupazionali”.
“Ci chiediamo cos’altro serva a Regione e Governo per mettere in campo solide misure per trattenere nel perimetro del servizio pubblico medici e infermieri” commenta Antonio De Pasquale, segretario generale Fp Cgil Verona. “E quando diciamo solide, intendiamo andare al cuore del problema, che sono le retribuzioni basse, le condizioni di lavoro spesso impraticabili, l’impossibilità di conciliare lavoro e vita privata. Perché quello che non capisce questa classe politica è che le condizioni di lavoro nel pubblico sono tanto degradate che diventa impossibile staccare, un medico o un infermiere il lavoro se lo porta anche a casa, e con il Sio in azienda ospedaliera la situazione è peggiorata ancora di più. Ecco che spesso l’unica soluzione diventa licenziarsi e andare a lavorare nel privato dove gli orari e la paga sono migliori, e il rischio e le responsabilità più limitate”.
“Il salario di un infermiere italiano è pari al salario medio dei lavoratori del Paese, mentre nei Paesi Ocse è mediamente superiore del 20%” spiega Simone Mazza, responsabile Sanità della Fp Cgil Verona. “Il potere d’acquisto in termini reali è poi di gran lunga inferiore il che rende lavorare in Italia estremamente sconveniente, soprattutto nel pubblico. E in questa situazione drammatica, Aran, l’agenzia che tratta per conto del governo il rinnovo dei contratti pubblici, ha riportato il 20 febbraio scorso al tavolo del Contratto Nazionale della Sanità Pubblica risorse economiche che garantirebbero a malapena il recupero di un terzo dell’inflazione degli ultimi anni, una proposta irricevibile da Fp Cgil. Una vergogna che conferma il tentativo, più volte da noi denunciato, di svendere il sistema sanitario pubblico a favore del privato. Mentre le giovani leve vengono bruciate in questo carnaio, il territorio e il Paese perdono per sempre competenze difficilissime da rimpiazzare. Ribadiamo che siamo ad un punto di non ritorno: o si investe adesso oppure il servizio sanitario è destinato ad entrare in agonia”.
LA REGIONE. I dati raccolti da Fp Cgil Verona sono sovrapponibili a quelli ufficiali contenuti nella Delibera di giunta regionale 960 del 13 agosto 2024 con cui la Regione Veneto, per la prima volta, ha cominciato a prendere contatto con quelle che chiama “dimissioni inattese”. Nella delibera si legge che “nel corso dell’anno 2023, sul totale delle dimissioni del personale infermieristico, il 54% era costituito da dimissioni inattese, mentre per il personale medico il dato risulta ancora più elevato rappresentando il 67% delle cessazioni. Per gli oss invece il fenomeno non supera il 37%. Tra il personale amministrativo le dimissioni inattese sono il 28% delle dimissioni complessive”. E poi ancora: “L’andamento negli anni di queste percentuali, incrementatesi dopo la pandemia, è stato abbastanza sovrapponibile per infermieri e medici, fino al 2023, anno in cui si assiste ad un aumento delle dimissioni inattese dei medici e ad una diminuzione delle medesime da parte degli infermieri”. Nel complesso “le dimissioni inattese rappresentano il 2,4% del personale infermieristico complessivo, mentre in epoca precovid era soltanto l’1%”. Le conclusioni sono amare: “Anche supponendo che tale fenomeno rientri nei limiti precovid, con gli attuali livelli di invecchiamento e i nuovi inserimenti al ritmo di mille nuove assunzioni all’anno, la carenza di personale infermieristico non si risolverebbe prima del 2044”.