Corte dei Conti, carceri al limite: ritardi, sprechi e sovraffollamento. Il Veneto tra le regioni in “emergenza”

 
 

“Piano Carceri”, dieci anni (2014-2024) di fallimenti. A dieci anni dalla conclusione della gestione commissariale, l’analisi sullo stato di attuazione del “Piano Carceri” evidenzia, nella recente relazione della Corte dei conti, ritardi sistematici, contratti risolti e situazioni critiche di sovraffollamento carcerario che – soprattutto in Lombardia, Puglia, Campania, Lazio, Veneto e Sicilia – assumono contorni ai “limiti dell’emergenza”, anche alla luce dei dati del Ministero della Giustizia


Un grido d’allarme risuona dai corridoi della giustizia italiana, ma questa volta non proviene dalle celle, bensì dalle aule della Corte dei Conti nella relazione “Infrastrutture e digitalizzazione: Piano Carceri”, approvata dalla Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato con Delibera n. 42/2025/G e pubblicata lo scorso 5 maggio.

Dieci anni dopo la fine della gestione commissariale, il “Piano Carceri” (2014-2024), volto a migliorare l’edilizia penitenziaria, è un fallimento su larga scala: centinaia di milioni di euro stanziati, progetti fantasma che lievitano da 117 a 377 milioni senza mai vedere la luce. Il bilancio del Piano nazionale di edilizia penitenziaria 2014-2024 è  un vero e proprio pugno nello stomaco per un paese che fatica a garantire condizioni dignitose nelle proprie carceri. E’ un vero e proprio catalogo di fallimenti che la Corte dei Conti ha fotografato senza pietà nella Delibera n. 42/2025/G. Un documento che racconta non solo l’inefficienza della macchina burocratica italiana, ma soprattutto le conseguenze drammatiche di questi ritardi: il sovraffollamento carcerario che in sei regioni ha raggiunto livelli “ai limiti dell’emergenza”.

L’emergenza ignorata. Sovraffollamento record in sei regioni: Lombardia, Puglia, Campania, Lazio, Veneto e Sicilia. Sono queste le regioni dove la situazione carceraria ha assunto “contorni ai limiti dell’emergenza”, come scrivono senza giri di parole i magistrati contabili. Dopo dieci anni dalla fine della gestione commissariale, il quadro che emerge è “sconfortante e preoccupante”: migliaia di detenuti ammassati in strutture inadeguate mentre i progetti per ampliarle rimangono sulla carta.

La drammatica ironia è che proprio in queste regioni molti degli interventi previsti dal Piano Carceri sono ancora incompiuti o addirittura mai iniziati. Come se l’urgenza sanitaria e umanitaria non fosse abbastanza per accelerare procedure che si trascinano da anni.

Quando otto anni non bastano per costruire: il caso Parma. Se vogliamo capire cosa significa “dilatazione dei tempi” nell’edilizia penitenziaria italiana, basta guardare a Parma. L’unico intervento concluso in Emilia Romagna – presentato paradossalmente come un successo – ha richiesto otto anni e mezzo solo per la fase esecutiva. Dal luglio 2012 al dicembre 2021, per un progetto da 12,7 milioni di euro.

Otto anni e mezzo. In questo lasso di tempo si potrebbe costruire un grattacielo, realizzare un’intera infrastruttura ferroviaria, completare opere pubbliche di ben altra complessità. Ma evidentemente costruire 200 posti letto per detenuti richiede tempi biblici, almeno in Italia.

Il mistero di Nola: da 117 a 377 milioni per un carcere che non esiste. Ma è il caso di Nola che trasforma questo rapporto in un thriller burocratico. Nel marzo 2017 il Ministero delle Infrastrutture annuncia un nuovo penitenziario da 900 posti per 117 milioni di euro. Un anno dopo, la progettazione di fattibilità spara la cifra a quasi 377 milioni. Triplo. Senza spiegazioni convincenti.

Nel 2022 arrivano le perplessità del Consiglio superiore dei lavori pubblici: problemi idraulici, geologici, geotecnici, strutturali, ambientali e architettonici. Un elenco che fa pensare che il progetto sia stato disegnato su un tovagliolo durante una cena. Nell’aprile 2024, finalmente, il progetto viene eliminato dalla lista delle priorità.

Ma qui inizia il surreale: un mese dopo, il provveditorato alle opere pubbliche dichiara che la realizzazione è “ancora attuale” e si procederà con un “progetto stralcio”. A dicembre 2024, il Ministero ha ancora 116,8 milioni stanziati per quest’opera. Finora sono stati spesi solo 513.867 euro, probabilmente per le consulenze che hanno prodotto questo pasticcio.

L’anatomia del fallimento: inadempimenti e contratti risolti. La Corte dei Conti non usa mezzi termini nel descrivere le cause di questo fallimento sistemico: “diffusa e generalizzata dilatazione dei tempi”, “sistematica inosservanza dei cronoprogrammi”, “ricorrenti fattispecie di inadempienza contrattuale”. Un linguaggio tecnico che nasconde una realtà più cruda: un sistema che non funziona a nessun livello.

Le imprese aggiudicatarie spesso finiscono in difficoltà economiche e i contratti vengono risolti. I progetti cambiano in corso d’opera perché le “esigenze detentive” mutano più velocemente dei tempi di realizzazione. I finanziamenti si rivelano insufficienti per modifiche progettuali improvvisate.

Il risultato è che nell’arco di un decennio, la condizione “normale” è stata l’incompiutezza. Non l’eccezione, la norma.

Le raccomandazioni della Corte: pianificazione realistica e monitoraggio serrato. I magistrati contabili suggeriscono ricette di buon senso che suonano quasi rivoluzionarie: “stime realistiche dei costi”, “pianificazione efficace delle risorse”, “definizione di linee guida coerenti con gli standard europei e internazionali”. Concetti base di project management che evidentemente nel settore dell’edilizia penitenziaria italiana sono considerati innovazioni.

Al nuovo Commissario straordinario si chiede un “attento monitoraggio degli interventi nel rispetto dei cronoprogrammi”. Tradotto: fate quello che avreste dovuto fare negli ultimi dieci anni.

Il conto salato dell’inefficienza. Mentre la burocrazia italiana produceva progetti fantasma e ritardi sistemici, migliaia di detenuti hanno vissuto in condizioni al limite della dignità umana. Il sovraffollamento non è solo una questione di numeri: significa celle sovrappopolate, tensioni sociali, difficoltà per i programmi di reinserimento, condizioni di lavoro impossibili per gli agenti di polizia penitenziaria.

Il Piano Carceri 2014-2024 passerà alla storia come un monumento all’inefficienza italiana. Ma soprattutto come l’ennesima dimostrazione che quando lo Stato fallisce, a pagare sono sempre i più deboli: detenuti che scontano la pena in condizioni disumane e cittadini che vedono vanificati investimenti pubblici miliardari.

La speranza è che il nuovo commissario straordinario abbia imparato da questo decennio di fallimenti. Altrimenti, tra dieci anni, leggeremo un altro rapporto ugualmente sconfortante della Corte dei Conti.

Ieri sono stato ad un convegno – “Disinnescare… attrezziamoci per disinnescare i conflitti non per fomentarli” – presso la Casa circondarile di Padova, entrato alle 9 uscito alle 17. Non devices. Nessuna uscita in pausa pranzo. Tutti insieme, anche se per poco, in un’aula traboccante di giovani studentesse e studenti. Giornata toccante e pesante, tra gli interventi ricordo con emozione quello di Gino Ceccehttin, Carlo Stasolla, Francesco Striano, Giandomenico Caiazza … . Quelli più vibranti e toccanti sono stati quelli dei detenuti, persone con pene pesanti, per reati come l’omicidio. Ma anche quello di Sonia Fusco a cui è stata “ruubata” la figlia Fernanda (17 anni) travolta, mentre era sul motorino, da un guidatore che ha fatto una “scelta sbagliata” passando con il semaforo rosso, uccidendola.

Porto nei miei ricordi storie che non sono mie ma che in qualche misura mi (ci) appartengono.

Storie personali che diventano collettive.

Alberto Speciale

 
 
Alberto Speciale
Classe 1964. Ariete. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa e studiosa, amante della trasparenza con un interesse appassionato, inesauribile, sfacciato, per i fatti degli uomini. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. "Sono responsabile di quel che scrivo non di quel che viene capito"

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