Corte Costituzionale: possibile il vincolo paesaggistico dello Stato contro la volontà della Regione (Veneto)

 
 

Corte Costituzionale: lo Stato può imporre un vincolo paesaggistico anche contro la volontà della Regione. Risolto il conflitto di attribuzioni promosso dalla Regione Veneto


Il potere del ministero per i Beni culturali di imporre il vincolo paesaggistico in base all’articolo 138, comma 3, del Decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) è autonomo rispetto alla potestà delle Regioni di individuare beni paesaggistici o aree aventi le caratteristiche di notevole interesse pubblico. Il vincolo, infatti, «non si sovrappone alla disciplina urbanistica ed edilizia di competenza regionale e locale, ma piuttosto specifica se e in quale misura quest’ultima possa esercitarsi, in forma compatibile con la vocazione alla conservazione del pregio paesaggistico propria dell’immobile o dell’area vincolata».

In questi termini la Corte costituzionale, con la Sentenza 22 luglio 2021 n. 164, ha risolto il conflitto di attribuzioni promosso dalla Regione Veneto nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del ministero per i Beni e le attività culturali e per il turismo 5 dicembre 2019 n. 1676 recante «Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell’area alpina compresa tra il Comelico e la Val d’Ansiei, Comuni di Auronzo di Cadore, Danta di Cadore, Santo Stefano di Cadore, San Pietro di Cadore, San Nicolò di Comelico e Comelico Superiore».

Con ricorso notificato il 3 febbraio 2020 la Regione Veneto ha promosso conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato, in relazione al decreto del Direttore generale della direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo del 5 dicembre 2019, n. 1676.

Con tale atto, adottato ai sensi dell’art. 138, comma 3, del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), è stato dichiarato il notevole interesse pubblico di un’area del territorio veneto, reputata «bellezza panoramica» «avente valore estetico e tradizionale», in base all’art. 136 cod. beni culturali.

Alla dichiarazione si è accompagnata l’imposizione di una specifica disciplina, contenuta nella relazione allegata al decreto, con cui sono dettate le prescrizioni concernenti le componenti morfologiche del paesaggio ed i limiti ai quali soggiacciono gli interventi ammissibili.

La ricorrente Regione Veneto reputa l’atto lesivo delle competenze legislative e amministrative che le sono attribuite dagli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 della Costituzione in materia di valorizzazione dei beni culturali e ambientali, governo del territorio, turismo e agricoltura. Esso sarebbe altresì stato assunto in violazione del principio di leale collaborazione.

La Regione Veneto sostiene che, nel vincolare con apposite prescrizioni, puntuali, dettagliate e inderogabili, una intera area geografica del territorio, lo Stato avrebbe menomato le attribuzioni costituzionali regionali attinenti allo sviluppo urbanistico e alla fruizione dell’ambiente, soffocando ogni spazio di autonoma concretizzazione di esse. Ciò sarebbe avvenuto nell’esercizio, in difetto dei presupposti, del potere straordinario e di urgenza conferito allo Stato dall’art. 138, comma 3, cod. beni culturali, nell’ambito di un procedimento ove la partecipazione regionale è degradata all’espressione di un mero parere obbligatorio, ma non vincolante. Sarebbe così stato eluso il principio di elaborazione congiunta tra Stato e Regione del piano paesaggistico (la cui adozione sarebbe stata imminente), posto che quest’ultimo, in base all’art. 140, comma 2, cod. beni culturali è tenuto a recepire la dichiarazione di notevole interesse pubblico, che non è suscettibile di rimozioni o modifiche.

Lo Stato avrebbe perciò menomato le competenze costituzionali regionali, anzitutto appropriandosi, con la dichiarazione di notevole interesse pubblico, del contenuto di pianificazione che dovrebbe essere riservato al piano paesaggistico. Ciò sarebbe ancora più grave, se si considera che il procedimento di pianificazione paesaggistica, avviatosi nel 2009, è in corso e di prossima conclusione «quanto meno per stralci progressivi», sicché nessuna inerzia può essere contestata alla Regione.

Anche le competenze delle soprintendenze preposte alla tutela paesaggistica e dei Comuni sarebbero state illegittimamente compresse, per la medesima ragione.

Infine, il decreto oggetto di conflitto sarebbe, a parere della Regione Veneto, illegittimo, perché, al pari dei piani paesaggistici, esso avrebbe dovuto essere sottoposto alla valutazione ambientale strategica (VAS). Omettendo tale iniziativa, lo Stato avrebbe leso l’art. 6, commi 1 e 2, lettera a), del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

Per quanto sopra la Regione Veneto conclude chiedendo l’annullamento del decreto del 5 dicembre 2019.

Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile, e, nel merito, non fondato.

Per i giudici costituzionali il ricorso non è fondato.

Sul piano delle competenze costituzionali attinenti ai beni paesaggistici, la Corte ha già precisato che «[l]a tutela ambientale e paesaggistica, gravando su un bene complesso ed unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario ed assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali e ambientali. In sostanza, vengono a trovarsi di fronte due tipi di interessi pubblici diversi: quello alla conservazione del paesaggio, affidato allo Stato, e quello alla fruizione del territorio, affidato anche alle Regioni».

Da tale postulato conseguono alcuni corollari. Anzitutto, è evidente che il potere conferito allo Stato di vincolare un bene in ragione delle sue intrinseche qualità paesaggistiche non costituisce una deviazione dall’impianto costituzionale, come invece suggerisce la ricorrente quando sostiene che tale attività dovrebbe necessariamente confluire in un atto oggetto di «elaborazione congiunta» con la Regione interessata.

E’ vero il contrario: il conferimento allo Stato della competenza legislativa esclusiva in materia di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, e con esso della potestà di individuare il livello di governo più idoneo ad esercitare le relative funzioni amministrative, rende del tutto coerente con il disegno costituzionale la previsione, oggi codificata dall’art. 138, comma 3, cod. beni culturali, secondo cui l’autorità statale possa autonomamente rinvenire in un bene le caratteristiche che lo rendono meritevole di tutela, anche se la Regione nel cui territorio il bene si trova dovesse essere di contrario avviso.

Naturalmente, nulla vieta alla legislazione statale di coinvolgere le Regioni nella funzione amministrativa di identificare i beni degni di tutela, tanto più che si tratta di un compito logicamente e giuridicamente distinto, ma senza dubbio preliminare, e perciò connesso, a successivi interventi di valorizzazione, che rientrano nella competenza concorrente. Allo stato attuale della legislazione, ciò avviene sia mediante l’espressione di un parere regionale non vincolante nell’ambito del procedimento avviato dallo Stato, sia per mezzo dell’emanazione diretta, nel procedimento che fa capo alla Regione stessa, del provvedimento di tutela, ma sulla base della proposta alla quale è giunta una commissione cui devono partecipare anche organi statali.

Infine, il piano paesaggistico, che ha una funzione di pianificazione necessariamente ricognitiva degli immobili e delle aree dichiarati di notevole interesse pubblico, riveste anche una funzione eventualmente dichiarativa di nuovi vincoli alla quale la Regione partecipa attraverso l’elaborazione congiunta di tale atto. Il legislatore ordinario si è perciò ispirato in tale materia ad una logica incrementale delle tutele che è del tutto conforme al carattere primario del bene ambientale, cui peraltro si riferisce, collocato fra i principi fondamentali della Repubblica, l’art. 9 Cost..

Il secondo corollario consiste nella “prevalenza” assiomatica della tutela dell’ambiente sugli interessi urbanistico-edilizi, quando, naturalmente, la dichiarazione di notevole interesse pubblico sia stata legittimamente adottata con riferimento alle categorie di beni elencate dall’art. 136 cod. beni culturali. Non spetta perciò alla Regione opporre alla scelta di tutela conservativa compiuta dallo Stato l’esigenza di alterare il bene paesaggistico nell’ottica dello sviluppo del territorio e dell’incentivo alle attività economiche che vi si svolgono, mentre un profilo di intervento dinamico, che coinvolge la Regione, può legittimamente articolarsi in attività finalizzate alla promozione e al sostegno della conoscenza, fruizione e conservazione del patrimonio culturale.

Sotto tale aspetto, è del tutto connaturato alla finalità di conservazione del paesaggio che la dichiarazione di notevole interesse pubblico non si limiti a rilevare il valore paesaggistico di un bene, ma si accompagni a prescrizioni intese a regolamentarne l’uso, fino alla possibilità di vietarlo del tutto. Con ciò, in linea di principio, la dichiarazione non si sovrappone alla disciplina urbanistica ed edilizia di competenza regionale e locale, ma piuttosto specifica se e in quale misura quest’ultima possa esercitarsi, in forma compatibile con la vocazione alla conservazione del pregio paesaggistico propria dell’immobile o dell’area vincolata. La circostanza che larga parte del territorio interessato dalla dichiarazione sia già tutelata per legge ai sensi dell’art. 142 cod. beni culturali non toglie, perciò, che la dichiarazione di notevole interesse pubblico possa sopraggiungere, proprio al fine di arricchire con maggiori dettagli lo specifico grado di protezione di cui i beni inseriti nell’area debbono godere.

Sulla base di queste premesse, per i giudici della Corte Costituzionale appare chiaro che spettava allo Stato adottare il decreto oggetto di conflitto, poiché esso corrisponde all’esercizio di un’attribuzione costituzionale declinata dalla legge con l’art. 138, comma 3, cod. beni culturali, insuscettibile, nel caso concreto, di pregiudicare le competenze della Regione Veneto in tema di valorizzazione dei beni culturali e di governo del territorio.

Alberto Speciale

 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

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