Corte Costituzionale: l’interdittiva antimafia del Prefetto non viola la libertà di iniziativa economica privata

 
 

La Corte costituzionale, con la Sentenza n. 57 del 26 marzo 2020,  dichiara che le misure interdittive antimafia adottate dal Prefetto nei confronti dell’attività privata delle imprese oggetto di tentativi di infiltrazione mafiosa, non viola il principio costituzionale della libertà di iniziativa economica privata perché, pur comportandone un grave sacrificio (nella specie era in gioco l’iscrizione all’albo delle imprese artigiane), è giustificata dall’estrema pericolosità del fenomeno mafioso e dal rischio di una lesione della concorrenza e della stessa dignità e libertà umana.

La Corte costituzionale, nella Sentenza, ha evidenziato che il fenomeno mafioso è stato oggetto − specie negli ultimi tempi – di una ricca e sistematica giurisprudenza amministrativa, su cui si è a lungo soffermata la relazione sull’attività della Giustizia amministrativa del Presidente del Consiglio di Stato per l’anno giudiziario 2020 che ha messo in evidenza un quadro preoccupante non solo per le dimensioni, ma anche per le caratteristiche del fenomeno, e in particolare – e in primo luogo − per la sua pericolosità (peraltro già rilevata anche da Corte Costituzionale con la Sentenza n. 4 del 2018). Difatti la forza intimidatoria del vincolo associativo e la mole ingente di capitali provenienti da attività illecite sono inevitabilmente destinate a tradursi in atti e comportamenti che inquinano e falsano il libero e naturale sviluppo dell’attività economica nei settori infiltrati, con grave vulnus, non solo per la concorrenza, ma per la stessa libertà e dignità umana.

Con l’informazione antimafia interdittiva si richiede all’autorità amministrativa di prevenire tali evenienze, con un costante monitoraggio del fenomeno, la conoscenza delle sue specifiche manifestazioni, la individuazione e valutazione dei relativi sintomi, la rapidità di intervento.
Al provvedimento in questione viene riconosciuta natura «cautelare e preventiva»  comportando un giudizio prognostico circa probabili sbocchi illegali della infiltrazione mafiosa in quanto deriva dalla natura stessa dell’informazione antimafia che essa risulti fondata su elementi fattuali più sfumati di quelli che si pretendono in sede giudiziaria, perché sintomatici e indiziari.

Tutto ciò, peraltro, non comporta che nella specie si debba ritenere violato il principio fondamentale di legalità sostanziale, che presiede all’esercizio di ogni attività amministrativa, in quanto il dato normativo esclude la fondatezza dei dubbi di costituzionalità avanzati dal rimettente in ordine alla ammissibilità, in sé, del ricorso allo strumento amministrativo, e quindi alla legittimità della pur grave limitazione della libertà di impresa che ne deriva.

La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha individuato un nucleo consolidato di situazioni indiziarie, che sviluppano e completano le indicazioni legislative, costruendo un sistema di tassatività sostanziale. Tra queste: i provvedimenti “sfavorevoli” del giudice penale; le sentenze di proscioglimento o di assoluzione, da cui pure emergano valutazioni del giudice competente su fatti che, pur non superando la soglia della punibilità penale, sono però sintomatici della contaminazione mafiosa; i rapporti di parentela, laddove assumano una intensità tale da far ritenere una conduzione familiare e una “regia collettiva” dell’impresa, nel quadro di usuali metodi mafiosi fondati sulla regia “clanica”; i contatti o i rapporti di frequentazione, conoscenza, colleganza, amicizia; le vicende anomale nella formale struttura dell’impresa e nella sua gestione, incluse le situazioni in cui la società compie attività di strumentale pubblico sostegno a iniziative, campagne antimafia, antiusura, antiriciclaggio, allo scopo di mostrare un “volto di legalità” idoneo a stornare sospetti o elementi sostanziosi sintomatici della contaminazione mafiosa; la condivisione di un sistema di illegalità, volto ad ottenere i relativi “benefici”; l’inserimento in un contesto di illegalità o di abusivismo, in assenza di iniziative volte al ripristino della legalità.

In particolare, quanto al profilo della ragionevolezza, la risposta amministrativa, non si può ritenere sproporzionata rispetto ai valori in gioco, la cui tutela impone di colpire in anticipo quel fenomeno mafioso.

La Corte, quindi, ha dichiarato “non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 89-bis e 92, commi 3 e 4, del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, (…)), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Palermo.”

Alberto Speciale

 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

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