Corte Costituzionale, Diffamazione a mezzo stampa: illegittima l’applicazione pena detentiva L. 47/1948

 
 

La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della L. 8 febbraio 1948, n. 47 “Disposizioni sulla stampa” che prevede l’indefettibile applicazione della pena detentiva in caso di diffamazione a mezzo stampa, in quanto incompatibile con il diritto a manifestare il proprio pensiero, riconosciuto tanto dall’art. 21 Costituzione, quanto dall’art. 10 CEDU (Convenzione Europea dei Dritti dell’Uomo).


La Corte costituzionale nella Sentenza del 12 luglio 2021, n. 150ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e in via conseguenziale dell’art. 30, comma 4, della Legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato).

L’articolo 13 della L. 47/1948 prevede che “Nel caso di diffamazione commessa col mezzo della stampa, consistente nell’attribuzione di un fatto determinato, si applica la pena della reclusione da uno a sei anni quella della multa non inferiore a lire centomila”.

Secondo la Corte l’indefettibilità dell’applicazione della pena detentiva, in tutte le ipotesi nelle quali non sussistano – o non possano essere considerate almeno equivalenti – circostanze attenuanti, rende la disposizione censurata incompatibile con il diritto a manifestare il proprio pensiero, riconosciuto tanto dall’art. 21 della Costituzione, quanto dall’art. 10 Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Come già rilevato dalla Corte nella Ordinanza n. 132 del 2020, una simile necessaria irrogazione della sanzione detentiva (indipendentemente poi dalla possibilità di una sua sospensione condizionale, o di una sua sostituzione con misure alternative alla detenzione rispetto al singolo condannato) è divenuta ormai incompatibile con l’esigenza di «non dissuadere, per effetto del timore della sanzione privativa della libertà personale, la generalità dei giornalisti dall’esercitare la propria cruciale funzione di controllo sull’operato dei pubblici poteri». Esigenza sulla quale ha particolarmente insistito la Corte EDU nella propria giurisprudenza rammentata nella stessa Ordinanza, ma che anche la Corte costituzionale condivide.

Dal momento che la funzione della disposizione censurata è unicamente quella di inasprire il trattamento sanzionatorio previsto in via generale dall’art. 595 c.p. in termini che non sono compatibili con l’art. 21 Costituzione, oltre che con l’art. 10 CEDU, «essa deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella sua interezza, nei termini auspicati dal ricorrente».

Per la Corte Costituzionale, tale dichiarazione non crea, del resto, alcun vuoto di tutela al diritto alla reputazione individuale contro le offese arrecate a mezzo della stampa, in quanto il diritto continua a essere protetto dal combinato disposto del secondo e del terzo comma dello stesso art. 595 c.p..

Diversamente, la Corte costituzionale ha ritenuto l’art. 595, terzo comma, c.p., immune dalle censure di costituzionalità sollevate dal rimettente, perché la norma configura una circostanza aggravante del delitto di diffamazione, integrata allorché l’offesa sia recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico. La pena prevista è quella della reclusione da sei mesi a tre anni ovvero della multa non inferiore a 516 euro.

Per i giudici «la previsione in via alternativa della pena detentiva da parte della norma censurata non può ritenersi di per sé in contrasto con la libertà di manifestazione del pensiero, tutelata dagli artt. 21 Costituzione e 10 CEDU».

Alberto Speciale

 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

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