Consulta: illegittima legge Regione Veneto per “sanatorie di opere diverse da quelle statali”

 
 

La Consulta con la sentenza n. 77/2021 ha pronunciato l’incostituzionalità degli articoli 1 e 2 della L.R. Veneto n. 50/2019 recante Disposizioni per la regolarizzazione delle opere eseguite in parziale difformità prima dell’entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 “Norme in materia di edificabilità dei suoli”, nota come “mini condono”.


In aderenza a quanto previsto dall’art. 6 L.R. 50/19, che rinviava l’efficacia della nuova legge alla data del 25 febbraio 2020, la predetta è entrata ufficialmente in vigore dopo tale data, venendo nel frattempo prontamente colpita dalla impugnativa avanti alla Corte Costituzionale promossa dal Governo della Repubblica, per il denunciato contrasto con i principi fondamentali stabiliti dalla legislazione statale in materia di governo del territorio in violazione dell’art.117 comma 3 Cost..

Adesso con la Sentenza del 21 aprile 2021, n. 77(depositata il 21 aprile 2021) la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme contenute nella Legge regionale del Veneto del 23 dicembre 2019, n. 50 che contenevano una particolare procedura per  la sanatoria di alcune difformità edilizie minori (qui Sentenza pubblicata sul BUR Veneto n. 61 del 7 maggio 2021).

La Consulta ha ribadito per l’ennesima volta che una Regione non può prevedere discipline o procedure di sanatoria che possono aggirare quelle del D.P.R. 380/01. Ciò vale anche per trovare soluzione alle svariate tipologie di irregolarità compiute decenni or sono, e per agevolare il raggiungimento dello Stato Legittimo dell’immobile. E il Veneto, sulla falsa riga di altre Regioni, aveva istituito una particolare procedura di regolarizzazione immobiliare.

In particolare, le norme erano finalizzate a regolarizzare le opere edilizie eseguite in parziale difformità durante i lavori per l’attuazione dei titoli abilitativi rilasciati prima dell’entrata in vigore della Legge 28 gennaio 1977, n. 10 e provvisti di certificato di abitabilità od agibilità.

Fino all’introduzione dei meccanismi sanzionatori con la legge 28 gennaio 1977 n. 10, infatti, le varianti in corso d’opera a progetti di edifici già dotati di licenza edilizia venivano realizzate in assenza di ulteriori atti autorizzatori, ad eccezione di quelle che comportavano consistenti difformità in altezza od impianto, e venivano di fatto non considerate in sede di agibilità. In conseguenza di tale situazione, oggi risulta molto difficile procedere all’accertamento dello stato legittimo sugli immobili di vecchia data per la frequente presenza di situazioni non esattamente rispondenti a quelle rappresentate negli elaborati tecnici.

Le norme contenute nella legge regionale del Veneto, in sostanza, disponevano per alcune di queste difformità (es. un aumento fino a un quinto del volume dell’edificio e comunque in misura non superiore a 90 metri cubi  ovvero un aumento fino a un quinto della superficie dell’edificio e comunque in misura non superiore a 30 metri quadrati) di regolarizzarle mediante presentazione di una SCIA e previo pagamento delle sanzioni, facendo comunque salvi gli effetti civili e penali dell’illecito.

Per la Corte tali norme sono in contrasto con i principi statali ed, in particolare, con il principio della “doppia conformità” che in tema di sanatoria prevede che “il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda”, condizione che è necessario rispettare anche in caso di SCIA (art. 36 e 37 del DPR 380/2001).

La Corte ha ribadito che le scelte di principio sul versante della sanatoria, in particolare quelle relative all’an, al quando e al quantum, spettino unicamente al legislatore statale, mentre al legislatore regionale  spetta solo l’articolazione e la specificazione di tali disposizioni.

E’ opportuno tuttavia evidenziare che la Corte interviene su un tema molto sentito in questo momento dato che molti sono gli immobili che presentano queste difformità che sono di ostacolo alla possibilità di accedere al Superbonus 110%, tema sul quale è auspicabile quanto prima una revisione della disciplina che introduca delle norme di semplificazione per le difformità minori al fine di agevolare il recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente.

La L.R. 50/2019 era stata già oggetto di note di primo commento da parte dell‘Associazione Veneta degli avvocati amministrativisti che avevano preannunciato la difficoltà di superare il vaglio della Corte Costituzionale. Leggendo le note infatti appare come la ratio della Legge muova dal fatto che spesso gli Uffici comunali segnalano come da tempo cittadini ed imprese richiedano di intervenire su immobili esistenti e da tempo realizzati, dove tali richieste non possono essere accolte per la sussistenza di abusività che non possono essere sanate.

Infatti, effettuate le verifiche del caso, si scopre che gli edifici interessati presentano una o più difformità edilizie, quindi una qualche ragione di contrasto con la attuale e vigente normativa urbanistico-edilizia ed, in particolare, con le previsioni contenute negli strumenti urbanistici, spesso sopravvenuti e successivi alla esecuzione dell’attività edilizia, contrasto che ne impedisce la regolarizzazione ordinaria, in difetto della “doppia conformità” che disciplina la sanatoria edilizia.

In questo modo, eredi intenzionati a cedere gli immobili ricevuti a seguito di una successione, ovvero le parti di un eventuale contratto di cessione immobiliare, o coloro che vorrebbero intervenire per recuperare o ristrutturare svariati immobili, vengono a conoscenza della sussistenza di un ostacolo insuperabile che preclude tanto la successiva alienazione come la loro trasformazione o il recupero.

Il risultato è che un cospicuo numero di edifici, solo in apparenza regolari, non sono sanabili in via ordinaria, in quanto difformi rispetto al titolo o al progetto originario e non conformi alla normativa attualmente vigente, nonostante tali edifici per decenni siano stati regolarmente abitati ed occupati, come perfettamente abitabili ed agibili, senza alcun problema e, spesso, nella convinzione che tutto quanto fosse pienamente legittimo.

Si tratta, quindi, di una vera e propria situazione di irregolarità edilizia per contrasto con la normativa attualmente vigente, il cui effetto è quello di impedire il conseguimento di una qualsivoglia sanatoria ordinaria ai sensi dell’art.36 DPR 380/01, il cui rilascio è il presupposto per poter essere abilitati ad eseguire un qualsiasi tipo di intervento sul manufatto o per poter dare seguito ad una alienazione del bene stesso. Infatti, non sussistendo la c.d. “doppia conformità” prevista dall’art.36 DPR 380/01 – per cui l’immobile per essere regolarizzato deve presentarsi conforme alla normativa urbanistico-edilizia vigente tanto al momento della esecuzione dell’intervento, quanto al momento della presentazione della domanda di conformità – l’edificio non può essere sanato.

Si tratta di difformità, quelle riscontrate, che risulterebbero aver avuto luogo negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, in occasione dell’esecuzione del progetto originariamente assentito e ciò nonostante non risulterebbero mai essere state oggetto di sanatorie o di condoni edilizi (e non pare che si possa dire che non ve ne siano stati nel nostro ordinamento).

Le violazioni, per lo più, sono riconducibili a difformità edilizie di lieve entità, realizzate nel corso della esecuzione dei lavori autorizzati con apposito titolo rilasciato, e che per le più svariate ragioni (incluse leggerezze ed imprecisioni progettuali) non sono mai state segnalate o evidenziate prima della conclusione dei lavori stessi, mediante la apposita variante in corso d’opera o una finale, e neppure in occasione della proposizione della domanda di abitabilità/agibilità; peraltro, non può essere escluso che, a suo tempo, il concessionario o chi coinvolto nella esecuzione del progetto autorizzato si sia riservato di porre un qualche rimedio che poi, per le più svariate ragioni, non ha avuto seguito.

Si tratta di abusi contenuti, riconducibili a lievi scostamenti dai classici parametri edilizi (volume, superficie, altezza, destinazioni d’uso, collocazione sul lotto e via dicendo), ovvero diverse modalità realizzative (ad esempio, numero, collocazione, dimensioni di finestre), rispetto a quanto previsto nell’autorizzazione edilizia.

Per altro verso, si tratterebbe di edifici in parte abusivi e, quindi, sottoponibili alle misure sanzionatorie previste dal DPR 380/01, inclusa la possibilità di procedere ad una “fiscalizzazione” dell’abuso ove ricorrano i presupposti dell’art.34 DPR 380/01 (dove il ripristino o la demolizione non sarebbero tecnicamente possibili), opzione che sovente implica il pagamento di un importo cospicuo, all’esito di un procedimento complesso, e tutto sommato, disincentivante, visto che la sanzione pecuniaria eventualmente corrisposta non possiede, come noto, alcun effetto sanante, essendo unicamente diretta ad escludere demolizioni o ripristini pregiudizievoli.

Nel silenzio del legislatore nazionale su tale problematica la Regione Veneto ha approvato la LR 50/19, intitolata “Disposizioni per la regolarizzazione delle opere edilizie eseguite in parziale difformità prima della entrata in vigore della legge 28 Gennaio 1977 n.10 “Norme in materia di edificabilità dei suoli”, come pubblicata sul BUR il successivo 27 dicembre 2019.

Con la Sentenza della Consulta tutto da rifare.

Alberto Speciale

 

 

 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

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