Cacciato da Salvini, passa da Bossi a Mazzini…Ah, però!

 
 

Ai tempi della Prima Repubblica c’era stile. Nel bene e nel male. Anche nella corsa alla poltrona, che c’è sempre stata, ma non era così volgare, come si dimostra negli ultimi decenni. La disaffezione al voto non è direttamente proporzionale al numero dei partiti, liste civetta e candidati, come abbiamo visto alle ultime elezioni amministrative veronesi. Tutti attaccano il “magna magna” del Sistema, ma quando arriva il momento di cercare un posto a tavola, la corsa è travolgente. Fateci caso. Tutti attaccano i benefit dei politici, ma allo stesso tempo c’è una corsa al benefit, che non ha eguali altrove.

Oggi, i piatti sono meno abbondanti, le porzioni pure, ma “il potere logora chi non ce l’ha”. Ed è lotta all’ultimo sangue per accaparrarsi la fetta di torta sicura. Manca lo stile perché, una volta, litigi e spartizioni si facevano lontani dai riflettori, per poi presentarsi apparentemente uniti al grande pubblico. Nel terzo millennio, scannarsi per un posto alle politiche è divenuto parte integrante dello spettacolo, che coinvolge anche personaggi senza arte né parte, tra scappati di casa e incompetenti di varia natura.  Si ciancia di anti-politica ma poi domina il trasformismo, ovvero quel cambiar di casacca a seconda dell’interesse del momento, che tanto sembra irritare gli italiani e che certamente non ha nulla di nobile.

Un esempio di trasformismo politico ce l’abbiamo a Verona e ce lo dà chi è stato negli ultimi 10 anni il sindaco della nostra bella città. Nel 1990 entrò nella Lega ruspante di Umberto Bossi, accompagnato da dei democristiani in uscita. Dimostrò fiuto politico e di aver capito dai suoi amici di allora come funzionavano le logiche dei partiti. Si guadagnò un posto da consigliere comunale già nel 1994. Era un fustigatore del Pentapartito, come tutti i leghisti dell’epoca di Tangentopoli. Da lì, iniziò la scalata che lo portò ad esser considerato l’ “Imperatore” di Verona. “A Verona, non si muove foglia che lui non voglia” – è stato il leitmotiv dell’ultimo decennio, a detta di chi conosce la città e la macchina di Palazzo Barbieri.

Negli anni ’90 sostenne le Camicie Verdi, non perdeva un incontro a Pontida e al grido di “Padania libera” si costruiva un grande consenso popolare, girando dappertutto nelle piazze e nelle case, ad ascoltare tutti, belli e brutti. Iper-presenzialista sempre e comunque. La scena doveva essere sua, altrimenti eri fuori dalla sua squadra. Solo sorrisi e pacche sulle spalle a chi aveva personalità e cultura politica: potrebbe fare ombra.

Fu condannato con sentenza definitiva per razzismo, a seguito di una campagna contro i campi nomadi abusivi. Celeberrimi rimangono gli anni delle beghe col Procuratore Capo della Repubblica Guido Papalia. All’epoca inviso a tutti i Poteri forti e viceversa, crebbe elettoralmente proprio sfruttando quest’onda, strizzando l’occhio a movimenti, gruppi e persone molto più a destra della Lega, fino ai tradizionalisti cattolici.

Allargò il consenso attorno a sé o attorno alla Lega? Diciamo che a Verona, lui e la Lega sono stati la stessa cosa per circa 15 anni. Non ebbe sempre un rapporto conflittuale col Senatùr, come dicono alcuni. Quello cominciò quando il leader dei lumbard iniziò a fiutare che il “ragazzo” acquisiva potere e seguito incontrastati, ovvero ai tempi dell’ elezione in Consiglio Regionale nel 2005 (prese circa 28.000 preferenze, che gli valsero l’Assessorato più importante). Lo seguiva nelle decisioni fondamentali e nelle fasi alterne che si sono susseguite. Secessionista quando lo era il Capo, federalista idem. Non c’era posto per “correnti” e dissensi in quella Lega, come ha dimostrato la fine politica di chi si metteva di traverso.

Arrivò al “Patto di Cisano” che lo consacrò candidato sindaco nel 2007, dopo il passo indietro di Alfredo Meocci, convincendo Bossi e Berlusconi che avrebbe stravinto, sull’onda del successo alle Regionali e dell’aria che si respirava in città. E così fu (60,75% sull’uscente Zanotto, che avrebbe perso comunque). E fu così che cambiò. I Poteri forti cittadini non erano più così cattivi, le frange più estremiste utili alla scalata erano diventate ingombranti “ad intra”. Meglio rifarsi una verginità con altri, presentabili e spendibili nei salotti che contano, ma scelti con criteri che ancora sfuggono, visti gli esiti. Anche il vescovo non era più un “nemico”, ma un saggio interlocutore. Permaneva qualche rigurgito da “leghista doc” per accontentare soprattutto gli “estremisti” “ad extra” rispetto al partito e tener buoni quelli rimasti fedelissimi “ad intra”, secondo la tattica per cui il passaggio nelle stanze dei bottoni dovesse apparire il più indolore possibile a quella fetta di “duri e puri”, che costituivano la base dell’aiuto al suo successo. Tutto con una freddezza ed un cinismo unici.

Nel secondo mandato, prosciugò il Pdl con un’operazione di ingegneria politica, dal momento che aveva colto quanto il partito di Berlusconi fosse in difficoltà e si catapultò in un’ottica di più ampio raggio. Come un camaleonte, cambiò totalmente pelle e presentò, con la proverbiale arroganza, circondato da un esercito di “yes-men”, il conto ai vertici del suo partito, proprio mentre stavano cambiando. Cercava di sfruttare a suo favore il momento del cambio al vertice, ma trovò sulla sua strada Zaia e Salvini, determinati a prendere le redini della Lega e tutta l’eredità di Bossi. Per la prima volta, fu veramente messo all’angolo e poi, dopo liti furibonde, cacciato da un partito nel quale era un pesce fuor d’acqua. Lo chiamavano “il leghista eretico” per non dargli del democristiano, che minacciava di scappare a sinistra (cosa che poi fece) se non si ascoltavano i suoi desiderata. Nella sua idea di buona politica conta solo il consenso. Non capì che non è così neppure quando, da sindaco, i suoi uomini, numeri uno e due per numero di preferenze, finirono out, nel modo che tutti conosciamo.

Iniziò, forse, in quella fase la parabola discendente dell’ “Imperatore di Verona”.

Poi ci fu la famosa e clamorosa puntata di Report su Rai3 del 7/04/2014 che segnò uno spartiacque politico tra l’ “Imperatore” di prima ed il “Vassallo” successivo. Voler usare il posto di sindaco della città per lavorare ad una improbabile leadership nazionale fu il suo più grande errore, nel quale rimase intrappolato. Aver dato immagine e dimostrazione di dimenticare il proprio ruolo amministrativo per rincorrere il suo futuro elettorale altrove, lo portò alla disfatta definitiva. Ed all’irrilevanza politica. La Lega cresceva e lui calava.

Ma l’uomo, forse anche perché mal consigliato dai collaboratori non all’altezza che si era scelto, cercò la sponda di Renzi e Alfano per uscire dall’angolo, dando invece, di fatto, la sponda a Salvini ed alleati per toglierlo dall’angolo e chiuderlo in cantina. Andò, perfino, ad appoggiare il referendum che mise la pietra tombale al governo del fiorentino più malvoluto dagli italiani.

Al ballottaggio delle comunali cercò strenuamente i voti del Pd per vincere, lo spaccò, ma Verona è Verona e prese comunque con una batosta dal centro-destra che risuonò nelle vie cittadine, come lo schiaffone di Giulietta a Romeo per averla tradita da tempo. E fu così che da vassallo, abbandonato da quasi tutti gli ex amici, scesi dal suo carro prima o dopo le elezioni, riuscì a saltare i passaggi intermedi di valvassore e valvassino per somigliare ad un “servo della gleba” della politica, prima a pietire un posto nel centro-destra romano alla corte di Silvio, seguendo lo schema di chi si presenta come moderato centrista, ma nello stesso tempo continuando ad attaccare i vertici scaligeri dello stesso centro-destra, di cui ai tempi del Palabam di Mantova (2013) voleva essere il capo e poi, udite udite, completando la metamorfosi in maniera davvero sublime, passando nel Partito Repubblicano Italiano.

Ebbene sì, l’ex “Imperatore”, asfaltato alle amministrative, è riuscito nell’impresa di passare dal leghismo indipendentista ed anti-risorgimentale, al “centrino dei fari spenti”, fino a giungere al secondo simbolo più vetusto della politica, comparso nel 1895: l’Edera mazziniana e risorgimentale del Pri (partito d’origine di uno dei pochi amici rimasti, indagato con lui per alcune faccende su cui la Procura ha acceso il faro, relative a quando era sovrintendente dell’Ente lirico: Francesco Girondini).

E nell’attuale Pri c’è chi indica in lui il “nuovo La Malfa” – racconta Il Fatto Quotidiano del 1/12/2017. Insomma, un incredibile trasformismo, pur di cercare un posto al sole in Parlamento con il verde dell’Edera, diverso da quello padano, tra i soli 6 seggi disponibili a Verona, per accaparrarsi i quali è già da tempo iniziato l’assalto alla diligenza. E se Salvini ha posto il veto ad alleanze con lui, potrà la coalizione di centro-destra permettersi un “niet” al redivivo Pri? E se non potrà, riuscirà il nostro, che quanto ad artifici e meccanismi elettorali è abilissimo, ad essere eletto?

Nel frattempo, registriamo e segnaliamo ai lettori veronesi questa ennesima capriola, ricordando i tempi in cui predicava coerenza e lealtà, dispensando lezioni qua e là. Lo facciamo augurandogli di trovare finalmente la sua strada, ora che l’arco costituzionale l’ha girato tutto, in cerca di una briciola di potere ad ogni costo, perché, purtroppo, quando l’orgoglio prevale sulla rassegnazione alla propria bocciatura ed all’esame di coscienza sui tanti sbagli commessi, si può rischiare davvero di finire dalle stelle alle stalle.

Dall’ “Impero” alla “gleba”, in politica, ci vuol poco, sebbene quello del servo della gleba sia sempre stato un mestiere degno di rispetto, fin dal Medioevo, purché sia una scelta e non un triste epilogo.

 
 
Nato in Val di Fassa nel 1976, ma Veronese "de soca" da generazioni, si è diplomato al Liceo Classico "Alle Stimate". Dopo aver studiato per due anni Giurisprudenza, prima a Ferrara e poi a Verona, ritiene opportuno entrare nel mondo del lavoro. E' sposato dal 2001 e lavora da 15 anni per un Ente pubblico economico. Eredita dalla famiglia la passione per la lettura, per la politica e per il giornalismo, mentre è alle elementari che nasce quella indissolubile per l'Hellas Verona e per il calcio in second'ordine. Ama Dio da Cattolico tradizionalista militante, la Patria e la Famiglia, stare con gli amici, pochi ma buoni, l'allegria e il realismo, l'onestà e la trasparenza. Se qualcuno lo addita come persona all'estrema destra del Padre, diciamo che non si offende.

3 COMMENTI

  1. Guardi Signor Castagna,di questo articolo che Lei ha minuziosamente descritto Flavio Tosi politico, corrispondono solo le date e niente altro.
    Tutto il resto,mi permetta, l’ ho vissuto anch’io e lo descriverei in tutt’altro modo.
    Se vuole,altrettanto minuziosamente le racconto una verità completamente diversa.
    Un buon giornalista descrive i FATTI ,non le proprie impressioni,o antipatie.
    Elena Brunelli

  2. Gentile Sig.ra Elena Brunelli,
    la ringrazio della critica, anche perché sono un po’ stanco di ricevere solo complimenti.
    Sono convinto che quanto ho scritto corrisponda a verità difficilmente smentibili, basate su fonti ufficiali e non. La fonte sul Partito Repubblicano è riportata, ed è Il fatto Quotidiano del 1/12/2017. Abbiamo due idee diverse di giornalismo. Io credo che il giornalista non possa essere un mero descrittore di FATTI. Quello è proprio d un ufficio stampa. Se lei trovasse chi gliele pubblica, non mi dispiacerebbe affatto leggere la sua “verità”.
    Peraltro, un articolo d’opinione o d’inchiesta può essere piccato, come lo è questo, ma non è né viziato da impressioni personali né da antipatie.
    Cordialità.
    Matteo Castagna

  3. Gent.ma Signora Elena,
    lei è troppo buona.
    Quando afferma che “Un buon giornalista descrive i FATTI ,non le proprie impressioni,o antipatie”, ha perfettamente ragione.
    Questa osservazione però la dovrebbe fare ad un giornalista.
    Per quanto mi sforzi con gli occhi (e le assicuro che nonostante l’età ho mantenuto una buona vista), non riesco ad intravvedere il nominativo del signor Matteo Castagna fra quelli dell’elenco degli albi dei Giornalisti del Veneto nell’ultima edizione 2017.
    A meno che il signor Castagna non sia iscritto all’Albo giornalisti della Val di Fassa …
    Per cui il signor Castagna può raccontare ciò che vuole, come opinione personale e di parte, si intende, senza alcun onere di etica professionale.

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