Ambiente e rifiuti: audizione Arma Carabinieri in Commissione parlamentare inchiesta

 
 

“Accanto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, osserviamo gruppi imprenditoriali di grande spessore, con interessi commerciali diversificati, che si avvalgono della competenza e delle prestazioni di figure professionali di elevata professionalità, evitando contatti diretti con la criminalità organizzata e con esponenti mafiosi”.

La Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati nella seduta del 6 marzo ha audito il Comandante dei Carabinieri Unità forestali, ambientali e agroalimentari, Generale C.A. Angelo Agovino, e del Comandante dei Carabinieri per la tutela ambientale, Generale Maurizio Ferla.
Angelo Agovino, Generale di Corpo d’Armata dell’Arma dei Carabinieri, dal 22 dicembre comanda il Comando Unità forestali, ambientali e agroalimentari dell’Arma dei Carabinieri (CUFAA) organizzazione che l’Arma ha approntato dopo l’unificazione con il Corpo Forestale dello Stato, che ha preso le mosse dal 1° gennaio 2017.
Due sono gli aspetti portati in evidenza dai militari in audizione. Il primo è relativo agli elementi di analisi che emergono dalle attività di indagine, il secondo è costituito dalle valutazioni che emergono dall’attività quotidianamente effettuata per la difesa e il controllo del territorio.
Le indagini nel settore specifico delle attività illegali che prosperano intorno al ciclo dei rifiuti raccontano che, “(…) accanto alla criminalità organizzata di tipo mafioso, osserviamo gruppi imprenditoriali di grande spessore, con interessi commerciali diversificati, che si avvalgono della competenza e delle prestazioni di figure professionali di elevata professionalità, evitando contatti diretti con la criminalità organizzata e con esponenti mafiosi” , afferma il generale Agovino.

Questo ruolo è ancora più solido per quanto riguarda il ciclo della gestione dei rifiuti in quanto i gruppi di impresa perseguono l’esercizio di attività economiche illegali, acquisendo ingenti quantitativi di rifiuti, ignorando scientemente quanto previsto dalle autorizzazioni anche al di fuori dei prezzi di mercato, omettendo successivamente di sottoporli ai trattamenti previsti.

Altre volte si riscontrano invece le organizzazioni criminali che operano direttamente in questo settore, quindi direttamente nel business ambientale in molteplici ambiti, quali lo smaltimento illecito di rifiuti, l’inquinamento dei corsi d’acqua e delle sorgenti, l’abusivismo edilizio e, strettamente connesso ad esso, il ciclo del cemento, che meriterebbe un altro settore specifico di trattazione, il settore delle energie rinnovabili, settori nei quali la criminalità organizzata si dimostra particolarmente attiva.
Il generale osserva che per quanto può sembrare strano, queste attività illegali si giovano anche di particolari congiunture non volute da nessuno, “perché, se chiudono 600 imprese in Cina che prima importavano plastica ed altre tipologie di rifiuti, da qualche parte questi rifiuti devono andare a finire, quindi la chiusura del mercato cinese ha acuito il fenomeno dell’intasamento dei magazzini delle ditte operanti nel settore.”
Oltre ai problemi generati indirettamente dalla Cina c’è anche lo Sblocca Italia del 2014, che ha previsto l’eliminazione dei bacini di origine, quindi anche questo ha influito sul trasporto dei rifiuti in altre regioni d’Italia.
Denominatore comune della criminalità organizzata ambientale è la sistematicità dell’organizzazione e la totale sovrapponibilità dell’asset societario a quello criminale. Tutti casi che presentano quali elementi comuni l’essere riferibili ad attività continuativa di natura organizzata con allestimento di mezzi, perseguimento dell’illecito profitto attraverso l’illecita gestione dei rifiuti, declassificazione dei rifiuti attraverso la falsificazione della relativa documentazione.
Nella relazione di accompagnamento vengono letti i dati dell’ISPRA indicanti che la produzione dei rifiuti urbani cresce in tutte le macroaree geografiche, con un aumento percentuale più rilevante al nord, più contenuto nel Mezzogiorno e nel centro d’Italia (al nord cresce addirittura del 3,2 per cento).
In valore assoluto, il quantitativo di rifiuti urbani prodotti nel 2016 è pari ad oltre 14 milioni di tonnellate al nord, 6,5 milioni al centro e 9,5 milioni al sud, quindi la produzione pro capite raggiunge 497 chilogrammi per abitante ogni anno.
La grave crisi che affligge il ciclo dei rifiuti trae origine anche dalla mancata predisposizione di un’idonea impiantistica, che a livello regionale avrebbe dovuto garantire l’autosufficienza, e dalla contestuale inefficacia di misure idonee, tese in concreto alla riduzione dei rifiuti o alla loro riutilizzazione e rigenerazione.
La fine del 2018 ha portato all’attenzione la questione degli incendi, un fenomeno strettamente connesso al ciclo dei rifiuti, che nel 2018 ha interessato dapprima il nord Italia e poi nell’estate anche aree sensibili del sud, delineando uno scenario preoccupante.
L’aumento degli incendi dolosi, liberatori per il sovraccarico di materiale rifiuto non gestibile, trova origine in diversi fatti: criticità sorte nel trovare sbocchi esteri per rifiuti, il conseguente aumento dei costi di trattamento degli impianti italiani, l’apertura del bacino dei rifiuti al di fuori di quello di produzione.
Il fenomeno, inizialmente connesso al solo ciclo di rifiuti industriali, ha progressivamente interessato i centri di trattamento impiegati nella filiera di gestione dei rifiuti solidi urbani, a dimostrazione che il Paese vive uno stato di emergenza. Infatti per ovviare alle contestazioni conseguenti ai controlli delle autorità, si ricorre alla combustione dei materiali, con conseguenze devastanti soprattutto per la salute dei cittadini.Le regioni con il maggior numero di episodi di incendi sono la Lombardia, il Veneto, la Campania e la Sicilia,  conseguentemente il Comando Tutela Ambiente ha disposto un’intensificazione dell’attività di controllo degli impianti di trattamento, smaltimento e recupero dei rifiuti, anche con riferimento all’aspetto informativo.
Dal punto di vista operativo, le attività condotte a livello nazionale hanno dimostrato, in linea con quello che la Procura nazionale antimafia sostiene da tempo, che i fenomeni incendiari non si inquadrano obbligatoriamente in dinamiche di grande criminalità organizzata, ma sono sempre spia di sussistenza a monte di importanti traffici illeciti di rifiuti.
Sempre continuando su questo argomento, va rilevato che la gestione del traffico dei rifiuti è un settore appannaggio non solo della criminalità organizzata, quanto di interesse per gruppi imprenditoriali di spessore. L’intervento della criminalità organizzata si registra soprattutto nel tentativo di acquisire, attraverso intimidazioni, corruttele e connivenze, gli appalti per la raccolta dei rifiuti solidi urbani, che rappresentano in sostanza la prima fase del ciclo dei rifiuti, poi per tutto il resto c’è bisogno di aziende strutturate.
Le criminali imprese di settore per il perseguimento dell’illecito profitto acquisiscono ingenti quantitativi di rifiuti anche a prezzi fuori mercato, omettono di sottoporli ai necessari trattamenti e li avviano a smaltimento e/o a riciclo, assegnando codici fasulli attraverso la tecnica del giro bolla o altre questioni che noi conosciamo. L’illecita esasperazione di simili condotte comporta alla fine l’eliminazione con il fuoco dei materiali giacenti.
Strettamente connesse agli incendi sono le condotte delittuose tenute da soggetti spregiudicati, che sono alla spasmodica ricerca di capannoni in disuso, al cui interno stipare migliaia di tonnellate di materiali di cui si ha la necessità di disfarsi ad ogni costo. Questi soggetti in particolare si avvalgono anche di imprenditori titolari di impianti autorizzati, utilizzati come specchietto per le allodole, al fine di acquisire commercialmente le commesse sui rifiuti, per poi smaltirli abusivamente tal quali in questi capannoni dismessi, dislocati principalmente in Piemonte, Lombardia e Veneto, di fatto delle discariche abusive che diventano poi delle vere e proprie bombe ecologiche, a cui poi saranno connesse, nel momento in cui si scoprono, spese di smaltimento tutte a carico della collettività.
In alcune zone del territorio nazionale gli incendi possono essere anche motivati dall’intento di agevolare e mantenere una situazione di emergenza, che obbliga le pubbliche amministrazioni ad intervenire sul mercato con affidamenti diretti, senza procedere a gare d’appalto, ovvero per prorogare i contratti in scadenza. Questo può essere un altro motivo di questi incendi.
Il comandante generale esprime forte preoccupazione per un settore che nei prossimi anni interesserà non poco: quello del ciclo dei rifiuti connesso alle energie alternative con particolare riguardo al fotovoltaico, in quanto gli impianti si sono fatti vecchi e vanno smaltiti, attraverso dichiarazioni fasulle di sottoperformanza rendendoli non più rifiuti ma pannelli usati.
In pochi sanno che l’Europa, solamente nel quadriennio 2018-2021, ha inserito tra le priorità criminali il crimine ambientale.
La criminalità organizzata ambientale, approfittando del tardivo riconoscimento dell’allarme sociale connesso ai reati contro l’ambiente e sfruttando i solidi legami con il mondo imprenditoriale e istituzionale, ha sviluppato nuove forme di attività illegali, tralasciando in alcuni casi le tradizionali aree di operatività. I risultati devastanti di queste attività illegali  che produce un danno incalcolabile per gli ecosistemi, per la salute pubblica, e altera in modo consistente le dinamiche del mercato purtroppo non sono immediatamente percepibili, quindi la minaccia è ancora più subdola soprattutto per la salute umana, dove le conseguenze si scontano a distanza di anni.
Il tema dell’illegalità ambientale non trova soluzioni durature solo attraverso l’individuazione di fattispecie incriminatorie efficaci e funzionali all’attività di magistrati e forze di polizia, che a tutt’oggi comunque rappresentano l’argine più concreto ed efficace a tali forme di criminalità.
La soluzione del problema passa, secondo il generale Agovino, attraverso la divulgazione, una divulgazione capillare dell’enorme danno che i crimini ambientali producono, una divulgazione che punti a diffondere la consapevolezza collettiva e piena di quale patrimonio sottendano espressioni come “difesa del suolo, difesa degli ecosistemi, salvaguardia della biodiversità”.
Interviene anche il Comandante dei Carabinieri per la tutela dell’ambiente generale Maurizio Ferla, il cui reparto è specializzato nell’analisi criminale e le investigazioni giudiziarie, che ormai, grazie alle modifiche legislative più recenti, normalmente finiscono di competenza delle distrettuali antimafia con il 452-quaterdecies, che viene rubricato, ma a tre anni dall’introduzione del Titolo VI-bis del Codice penale, dal nostro punto di vista i risultati sono obiettivamente scarsi nonostante l’inserimento del il Titolo VI-bis,che prima non c’era e che oggi c’è, è in effetti uno strumento in più, uno strumento procedurale che ci consente di attivare delle investigazioni molto approfondite.
Tuttavia guardando oltre le statistiche, talvolta meramente celebrative, in realtà gli articoli del Titolo VI-bis, segnatamente inquinamento ambientale e disastro ambientale restano sostanzialmente lettera morta o quasi, perché formulati con la l’inserimento della preliminare parola “abusivamente” che sta bloccando molte Procure, molte autorità giudiziarie, molta polizia giudiziaria.
Il generale Ferla osserva che oggi non dobbiamo più pensare paradigmaticamente che il ciclo illecito dei rifiuti sia sempre appannaggio della criminalità organizzata. Questo era vero nel 1993, quando facemmo la prima operazione contro le ecomafie che si chiamava Adelphi, dove evidenziammo che i Casalesi andavano al nord, si facevano pagare e intombavano al sud, quindi nella Terra dei fuochi. Oggi, invece, il flusso dei rifiuti è al contrario.
Ci accorgiamo comunque che i delinquenti che operano in questo settore, anche se colletti bianchi, sono sempre gli stessi, a scadenza di 4-5 anni ci troviamo sempre di fronte alle stesse entità, perché da tre anni c’è la possibilità, ma non riusciamo neppure attualmente a prendere il patrimonio di questa gente, cioè a dimostrare, così come è stato fatto in altri settori delinquenziali, che il delitto non paga.
La legislazione ambientale. ad oggi, va dalle sanzioni amministrative alle contravvenzioni penali, ai delitti, e in caso di verifica presso uno stabilimento e un soggetto ha accumulato rifiuti oltre l’autorizzazione, normalmente si tratta di una contravvenzione penale o di una sanzione amministrativa con obbligo di asseveramento e bonifica, non di inquinamento ai sensi del Titolo VI-bis.
Un testo giuridico troppo debole da contrapporre ad un business ambientale stimato, secondo  dati Interpol e Nazioni Unite, in 213 miliardi di dollari statunitensi annui. Senza contare che spesso la polizia giudiziaria si trova di fronte a batterie di avvocati di pesantissimo spessore professionale e a consulenti assolutamente competenti di fronte ai quali occorre dimostrare che l’attività del 452-quaterdecies, per esempio, era organizzata, perché diversamente non si arriva a nulla.
Insomma sembra proprio che da una parte le istituzioni celebrano l’importanza dell’ambiente e cercano di combattere l’inquinamento ambientale, dall’altra non dotano le forze di polizia (e giudici) degli strumenti per poter operare un vero contrasto.
Alberto Speciale
 
 
Classe 1964. Ariete. Marito e padre. Lavoro come responsabile amministrativo e finanziario in una società privata di Verona. Sono persona curiosa ed amante della trasparenza. Caparbio e tenace. Lettore. Pensatore. Sognatore. Da poco anche narratore di fatti e costumi che accadono o che potrebbero accadere nella nostra città. Ex triatleta in attesa di un radioso ritorno allo sport.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here