Il Veneto impugna il decreto del Governo sull’obbligo vaccini

 
 

La Giunta regionale del Veneto ha dato mandato all’avvocatura, ieri mattina, di impugnare il decreto Lorenzin sull’obbligatorietà di 12 vaccinazioni entro i primi 16 anni di vita, così spiegando: “Il nuovo decreto ha portato da 4 a 12 le vaccinazioni obbligatorie da 0 a 16 anni, ma è stato formulato senza alcuna intesa preventiva con le Regioni: nei nuovi Lea non è prevista la copertura dei costi. Il Piano nazionale di vaccinazioni è tarato su 4 vaccini obbligatori (antipolio, antidifterica, antitetanica e antiepatite B)  e gratuiti e prevede quindi un impegno di spesa di 300 milioni, distribuiti in due annualità“. L’assessorato alla Sanità non si definisce contrario ai vaccini e alla loro validità scientifica, “ma da 10 anni in Veneto vacciniamo su base volontaria, cioè consapevole, creando così una cultura della prevenzione e della vaccinazione che rappresenta il miglior contrasto alla ‘fake-news’ e ai movimenti antivaccinisti. Si poteva affrontare in modo diverso il problema della prevenzione vaccinale,  rendendo obbligatorio il ricorso ai vaccini solo nel caso in cui il tasso di copertura fosse inferiore alla soglia ‘di gregge’ raccomandata dalla comunità scientifica. Privilegiare, invece, il modello impositivo – prosegue il responsabile delle politiche sanitarie del Veneto – significa andare allo scontro con le preoccupazioni dei genitori, tradire il rapporto di fiducia tra medici e cittadini e distogliere risorse significative dai programmi di prevenzione rivolti alle patologie croniche invalidanti, la cui cura assorbe circa il 70% della spesa sanitaria, Il Veneto ha privilegiato da anni la scelta volontaria in tema di prevenzione vaccinale grazie ad una informazione trasparente e alla responsabilizzazione di genitori e autorità locali; non intende perciò rinunciare ad una scelta culturale e di civiltà che si è dimostrata valida e rispettosa della libertà e dei diritti di tutti i cittadini”.

Quella dell’obbligo vaccini è una questione delicatissima, che mette in gioco molti elementi, nessuno di importanza minore all’altro: salute, famiglia, figli, vita comunitaria. In certi casi diventa davvero questione di vita o di morte. Forse, aldilà dei calcoli sulle coperture economiche – che suonano un po’ aridi in un contesto sanitario e umano – e mantenendo equidistanza, per rispetto delle posizioni, sarebbe opportuno rileggere la storia, che rimane, indiscutibilmente, magistra vitae, e comparare le curve, nei secoli, delle aspettative di vita, degli effetti di epidemie e morbi, della ricerca scientifica eseguita per coscienza, non per lucro, e valutare che scudi possiamo offrire, oggi, a salvaguardia e prosecuzione delle nuove generazioni.

 
 

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