Restauro conservativo per il pavimento di San Zeno

 
 

È in corso, e fino a novembre, il restauro conservativo – finanziato dall’associazione Chiese Vive – di un’estesa porzione di conci che compongono la scacchiera dell’aula plebana nella basilica di San Zeno: centinaia le lastre provenienti dalla Lessinia, molte delle quali di marmi oggi introvabili, una diversa dall’altra, nei toni dei bianchi e dei rossi, unicum tra le pavimentazioni delle chiese cittadine e grande catalogo delle pietre locali. Il manufatto richiama inoltre un’antica scritta nel fondo dell’abside

 

Dallo scorso gennaio i restauratori della ditta Cristani Pierpaolo stanno lavorando in diverse fasi sulla parte di conci in prossimità delle scale che conducono alla cripta. Il degrado, evidente nello stato di usura ed erosione, è stato causato da specifici fenomeni: scagliature e lacune provocate dall’umidità sottostante, fessurazioni dovute probabilmente alla perdita di materiale di allettamento; sono presenti stuccature di cemento e resina di precedenti manutenzioni, da rimuovere perché eseguite in materiale non compatibile con l’originale; la superficie risulta sporca a causa di strati di cera ingiallita e alterata. 

Chiese Vive – “Obiettivo dell’intervento che come Chiese Vive abbiamo finanziato è la messa in sicurezza delle lastre spezzate e delle porzioni scagliate, quindi la stuccatura delle lacune più profonde”, ha evidenziato mons. Gianni Ballarini, presidente dell’associazione che dal 1994 si occupa in prevalenza di tutela, valorizzazione e salvaguardia di beni ecclesiastici della diocesi scaligera. È uno dei “cantieri aperti” nell’abbazia, in sintonia con la Soprintendenza, per far sì che una tra le chiese più significative della città sia fruibile nella sua bellezza e sicurezza. “Sarà un intervento minimamente invasivo, che permetterà di sostituire le pietre ammalorate e di esaltare ancor di più l’unicità della pavimentazione che caratterizza l’interno di San Zeno“.

 

Scritte dal passato – Per geometria e tipologia, il manufatto risale al periodo compreso tra il Cinquecento – quando la realizzazione dello scalone centrale collegò l’aula plebana alla chiesa superiore in precedenza frequentata dai soli monaci – e l’Ottocento. Ma tante sono le particolarità che rendono il pavimento un unicum, precisa Flavio Pachera, architettofabbriciere dell’abbazia. 

Innanzitutto la dimensione delle lastre: “Di buon spessore e profilo a tronco di piramide, misurano 69,54 per 69,54 centimetri, equivalenti a due piedi di fabbrica senza alcun decimale, unità di misura usata in passato da costruttori, architetti e maestranze“. Alla misurazione si collega una curiosità: “La basilica presenta nel fondo dell’abside una singolare scritta tardo trecentesca in carattere “cancelleresco”, che indica le misure dell’abside, in pertiche e piedi. Secondo la traduzione e le considerazioni del prof. Gian Maria Varanini, si legge così: P(rim)o, VI p(er)tege a la traversa. It(em) V p(er)tege, I pé e meço i(n) lo(n)geça. Ha un parallelo in un’altra iscrizione, molto sbiadita, che si intravede sul pilastro a fianco della scaletta sinistra di accesso alla zona presbiteriale“.    

 

Tradotta dal volgare trecentesco suona così: “Primo, sei pertiche per traverso; secondo, cinque pertiche, un piede e mezzo in lunghezza. Ci si riferisce, con tutta probabilità, alla pertica veronese di sei piedi, pari a circa 2,04 metri – chiarisce l’architetto – e si tratta sicuramente di una forma di comunicazione interna alle maestranze occupate nel cantiere, di un’indicazione o di una sorta di promemoria per chi stava lavorando, anche se non è facile capire a che cosa si riferiscano esattamente le misure indicate, pari rispettivamente a 12 metri e 10,4 metri“. Dalle caratteristiche della scrittura “si può dedurre che l’autore è una persona che ha avuto un’educazione grafica abbastanza raffinata. La sua scrittura non è legata a una specifica attività professionale, ma è di tipo cancelleresco, piuttosto elaborata. È quella che potremmo definire una persona “colta”: forse, ma è ovviamente un’ipotesi, uno degli architetti che dirigeva i lavori dell’abside“.

I marmi – Il pavimento è stato oggetto di catalogazione delle 134 lastre in pietra della Lessinia che necessitavano maggiormente di restauro. Inoltre, dice sempre Pachera, “la pavimentazione si presenta a forma di scacchiera, ma non è composta dal classico rosso ammonitico e marmo botticino. Le pietre, che sono centinaia, provengono dai Monti Lessini: i rossi sono del gruppo del nembro nella varietà del rosso magnaboschi, rosso sanguigno, rosso broccato, rosso Verona. I colori chiari, sempre appartenenti al gruppo del nembro, sono il giallo Verona, il verdello, il nembro rosato e il gialletto ai quali si aggiungono il rosa corallo per il gruppo dei cimieri; infine il gruppo del biancone e della scaglia, la pietra di Prun sia bianca che rosa“. Materiali di pregio, varietà introvabili per la scomparsa delle cave da cui i marmi venivano estratti.

Le tecniche – L’intervento di restauro, dopo le opportune verifiche della Soprintendenza, “ha riguardato in una prima fase la pulitura dei conci e delle fughe con aspiratore, pennelli, piccole spatole per rimuovere i depositi di polvere e terra”, racconta il restauratore Ivan Cristani. In seguito è stata iniettata nelle fughe maltina liquida a base di calce idraulica priva di sali: “Per far ciò sono state impiegate siringhe, cannucce, imbuti nell’intento di riempire con la massima precisione i vuoti e consolidare il materiale di allettamento dei conci per evitare ulteriori fessurazioni delle pietre e delle nuove stuccature“. 

La superficie lapidea è stata pulita con acqua calda e vapore, servendosi di spazzole di nailon e pennelli per eliminare la cera e lo sporco annidato nelle lacune. Come ultimo tocco, conclude il restauratore, “l’applicazione di malte a base di calce idraulica, sabbia e polveri di colore simile all’originale e di granulometria differente permette di adattarsi meglio alle variazioni di tono delle lastre. Una lucidatura con panni morbidi e spazzole concluderà l’intervento di restauro”.  

 

  

Nella foto di gruppo, da sinistra: i restauratori della ditta Cristani Pierpaolo, mons. Gianni Ballarini e l’arch. Flavio Pachera. 

 
 
Sono nata a Verona sotto il segno dei Pesci; le mie radici sono in Friuli. Ho un fiero diploma di maturità classica ed una archeologica laurea in Lettere Moderne con indirizzo artistico, conseguita quando “triennale” poteva riferirsi solo al periodo in cui ci si trascinava fuori corso. Sono giornalista pubblicista dell’ODG Veneto e navigo nel mondo della comunicazione da anni, tra carta, radio, tv, web, uffici stampa. Altro? Leggo, scrivo, cucino, curo l’orto, visito mostre, gioc(av)o a volley. No, non riesco a fare tutto, ma tutto mi piacerebbe fare. Corro contro il tempo, ragazza (di una volta) con la valigia.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here