Autorizza l’espianto degli organi: gli restituiscono una salma irriconoscibile

 
 

A lamentare l’indegno episodio, successo all’ospedale Borgo Trento, una donna di Lugagnano, che si aspetta almeno le scuse e l’impegno a che non abbia più a ripetersi 

Non bastava aver perso all’improvviso suo marito a neanche cinquant’anni e l’ulteriore stress di dover decidere se donarne gli organi. Non bastava l’inspiegabile divieto posto dall’ospedale di farle vedere la salma, che si era raccomandata le fosse restituita in condizioni dignitose. Gliel’hanno mostrata solo un’ora prima del funerale, ed è stato uno shock.

A sollevare il caso una donna di Lugagnano, nel Veronese. Nel pomeriggio di sabato 24 novembre Marco Mazzi, 49 anni, commerciante ambulante, che non ha mai sofferto di cuore, viene colpito da un infarto dopo essere rincasato dal mercato: la moglie e i figli chiamano il Suem dell’ospedale Borgo Trento. I sanitari stabilizzano il paziente, lo portano al pronto soccorso e lo attaccano ai macchinari, ma in poche ore le sue condizioni precipitano. All’una della notte di domenica viene dichiarata la morte cerebrale.

Alla moglie, disperata, i medici chiedono se intenda autorizzare l’espianto degli organi. La signora si consulta con i figli, già maggiorenni, e alla fine decidono di acconsentire nella speranza che la morte del loro caro possa almeno servire a qualche malato. “Abbiamo solo chiesto che il corpo di mio marito fosse presentabile per il funerale, ottenendo tutte le rassicurazioni” racconta la moglie di Mazzi, a cui vengono espiantati cornee, valvole del cuore, tessuti, tendini, una rotula e i muscoli.

La vedova, dopo l’espianto, ha chiesto di poter vedere la salma del marito e di poterla trasportare nella cella mortuaria dell’impresa di onoranze funebri a cui si era rivolta per essere preparata, “ma non c’è stato verso – continua -: dall’ospedale ci hanno detto che ci avrebbero pensato loro, che quando il decesso avviene di domenica non spostano le salme. Ma lunedì la salma di Marco era libera: non comprendiamo questo diniego. Ho solo potuto portare i vestiti e l’impresa funebre la cassa”.

La moglie i figli non hanno potuto vedere per due giorni il marito e il loro padre, ma quando finalmente hanno potuto farlo, un’ora prima del funerale, alle 15.30 di martedì 27 novembre, nella camera mortuaria del nosocomio, è stato un trauma. “La salma era tutta gonfia e irriconoscibile, in avanzato stato di decomposizione: non era stata conservata in cella frigorifera e non era stata pulita. Siamo rimasti tutti indignati – accusa la moglie del quarantanovenne – Mio marito era un uomo meraviglioso, al suo funerale c’erano più di trecento persone: ha avuto una vita difficile, soprattutto da ragazzino, non meritava questo trattamento da morto, questa mancanza di cura e rispetto. La mia non è una critica nei confronti della donazione degli organi, ma non è giusto che chi compie questa scelta di alto senso civico e morale riceva questo “ringraziamento”. Non riesco a capacitarmi di come, nel terzo millennio e in una struttura come l’ospedale Borgo Trento di Verona, possano capitare fatti del genere, frutto di scarsa organizzazione e considerazione nei confronti dei defunti e delle loro famiglie. Non avrò pace finché non saranno chiarite le responsabilità”.

La donna chiede alla direzione sanitaria delle scuse formali, che non ha mai ricevuto, e che fatti del genere non abbiano più a ripetersi, anche per non disincentivare la donazione degli organi: “nessuno – conclude – deve più subire quello che abbiamo dovuto vedere e sopportare noi”.

 
 

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